Friday, 03 May, 2024

Russo et al. (2019) “Mutabilità adattativa dei tumori del colon-retto in risposta a terapie mirate” Science 366 (6472): 1473-1480


Mutabilità adattativa dei tumori del colon-retto in risposta a terapie mirate – Adaptive mutability of colorectal cancers in response to targeted therapies.

Codice: MUT012

Autore: Russo et al.

Data: 2019

Rivista: Science 366 (6472): 1473-1480

Argomento: mutagenesi

Accesso libero: no

DOI: https://doi.org/10.1126/science.aav4474

URL: https://www.science.org/doi/10.1126/science.aav4474

BLOG: https://www.metododibellaevidenzescientifiche.com/2022/07/10/mut012-russo-et-al-2019/

Parole chiave: cancro colon retto, anticorpi monoclonali, mutabilità, integrità del genoma, riparazione DNA, stress

Tumore: cancro del colon-retto

Traduzione: tradotte tutte le sezioni dell’articolo ma con estese semplificazioni. L’articolo è molto tecnico, le semplificazioni si sono rese necessarie per renderlo più leggibile.

 

Punti di interesse

L’opinione convenzionale è che la resistenza nel tumori sia un fatto compiuto: quando si inizia il trattamento, i tumori contengono già cellule mutanti resistenti ai farmaci. E’ solo una questione di tempo, le ricadute si verificano per queste cellule già programmate a resistere.

Nei batteri e lieviti sono stati descritti diversi meccanismi di instabilità genetica indotta da stress noti come mutagenesi indotta da stress (SIM). I batteri resistono allo stresso riducendo il tasso di crescita ma anche diminuendo l’efficienza di meccanismi di riparazione del DNA, e attivando DNA polimerasi (enzimi preposti alla duplicazione del DNA) prone a errori. Aumentano così la velocità con cui si verificano mutazioni adattative. Con l’adattamento, lo stato di ipermutatore viene disattivato Con questi processi si aumenta la diversità genetica promuovendo l’adattabilità a nuovi ambienti, e quindi la resistenza ad ambienti sfavorevoli. La mutabilità non è casuale, ma è una strategia di sopravvivenza, per la quale esistono sistemi di accensione e di spegnimento. In caso di stress, la mutabilità viene indotta, con la creazione di una nuova popolazione in grado di sopravvivere allo stress (che quindi non è più tale), la mutabilità e i processi che la generano vengono “spenti”.

Nel contesto del cancro, l’emergere di una popolazione persistente tollerante ai farmaci è spesso osservata quando le cellule tumorali vengono sfidate con agenti mirati a recettori/proteine/enzimi specifici usati nella crescita cellulare normale e tumorale. In questo studio è stata esplorata l’ipotesi che la resistenza alle terapie mirate venga favorita da un aumento transitorio dell’instabilità genomica che si verifica durante il trattamento. Come avviene nei batteri e lieviti, l’instabilità genomica sarebbe quindi un processo attivato dalle cellule tumorali sottoposte alla terapia mirata (stress), per sfuggire alla terapia stessa, per creare nuove combinazioni genetiche in grado di generare una nuova popolazione di cellule resistente alla terapia/stress. Se la diversità genetica delle cellule tumorali è potenziata dal trattamento stesso, avvenendo durante il trattamento, la probabilità che cellule mutate si verifichino ex-novo aumenterebbe notevolmente. E quindi questo cambierebbe il paradigma convenzionale che la resistenza sia un fatto compiuto, contro il quale non c’è nulla da fare, perché i tumori avrebbero già cellule mutanti resistenti ai farmaci anche prima delle terapia. In questo studio viene invece testata l’ipotesi che durante lo stato persistente le cellule tumorali, come gli organismi unicellulari, alterano i meccanismi di riparazione e replicazione del DNA per indurre la mutabilità. Le stress indotto dalla terapia induce mutabilità adattativa.

Per testare questa ipotesi, è stata studiata la risposta di linee cellulari di cancro colon rettale umano (CRC) con microsatelliti stabili (MSS) all’anticorpo cetuximab anti recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), insieme a panitumumab, per il trattamento di pazienti con CRC metastatico. Sono stati inoltre usati campioni di tumore derivati dal paziente, sfruttato la biobanca CRC di modelli di xenotrapianti derivati dal paziente (PDX) con annotazioni molecolari e terapeutiche, e anche campioni clinici di pazienti con CRC, raccolti longitudinalmente alla diagnosi e alla massima risposta terapeutica (prima e durante il trattamento).

Risultati:

  • 1) Il trattamento con agenti mirati (cetuximab e panitumumab, anticorpi monoclonali contro il recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR)) ha portato all’arresto del ciclo cellulare. Un piccolo numero di cellule si è dimostrata persistente, tollerante ai farmaci sopravvivendo. Per terapie di breve durata, con la rimozione del farmaco queste cellule hanno ripreso rapidamente la crescita, ma hanno mostrato nuovamente sensibilità alla terapia mirata, dimostrando così che le cellule persistenti sono solo transitorie e reversibilmente resistenti al trattamento. Al contrario, il trattamento prolungato ha portato alla generazione di cellule permanentemente resistenti, che non hanno riacquistato sensibilità dopo la rimozione della pressione del farmaco.
  • 2) E’ stata dimostrato che le terapie mirate regolano negativamente i meccanismi della riparazione di danni al DNA. L’inibizione indotta dalla terapia dell’espressione dei geni di riparazione del DNA è stata transitoria e i livelli di espressione sono tornati alla normalità dopo la rimozione del trattamento. Come c’era da aspettarsi, le cellule tumorali che avevano precedentemente sviluppato una resistenza permanente agli agenti mirati non modulavano l’espressione dei geni di riparazione del DNA in risposta ai farmaci.
  • Questi risultati si sono trovati non solo nelle linee cellulari, ma anche negli xenotrapianti derivati dal paziente (PDX) con annotazioni molecolari e terapeutiche, e anche in campioni clinici di due pazienti con CRC. In tutti i casi i geni MLH1 e MSH2 del sistema di riparazione del DNA sono stati sotto-regolati anche nei campioni di tumore da paziente ottenuti durante il trattamento. Nei campioni raccolti in pre-trattamento, i geni del meccanismo di riparazione del DNA non erano sottoregolati. Questo conferma la rilevanza clinica dei risultati.
  • 3) Oltre alla ridotta capacità di riparazione del DNA, è stato scoperto che le terapie mirate hanno innescato un passaggio dalle DNA polimerasi ad alta fedeltà a DNA polimerasi a bassa fedeltà. Le DNA polimerasi (enzimi deputati alla replicazione del DNA) solite replicare il DNA in modo accurato erano sotto-regolate, cioè inibite; mentre sono state indotte DNA polimerasi caratterizzate da scarsa precisione, bassa processività e assenza di capacità di correzione di bozze (cioè polimerasi soggette a errori). Le polimerasi ad alta fedeltà si bloccano quando incontrano una lesione del DNA. Le polimerasi soggette a errori quando incontrano una lesione del DNA, non si bloccano, ma ne facilitano la replicazione del DNA nonostante il danno del DNA. In questo un modo si introducono errori nel genoma e si aumenta il tasso di mutagenesi.
  • 4) I risultati mostrano che l‘interferenza con dipendenze oncogeniche (proteine o vie che i tumori usano per crescere) avvia la risposta allo stress nelle cellule del cancro del colon-retto. Le terapie quindi (cioè l’interferenza), interagendo con i meccanismi con i quali il tumore cresce (bloccando ad esempio il recettore di un fattore di crescita, o bloccando una chinasi di una via di segnalazione), determinano un fattore di stress e quindi attivano la risposta allo stress del tumore ovvero attivano i processi di mutagenesi.
  • 5) I risultati di questo studio indicano che la risposta allo stress indotta da terapie mirate si traduceva in un aumento della mutagenesi nelle cellule CRC. Le cellule CRC permanentemente resistenti non mostravano più mutabilità adattativa in risposta alle terapie mirate. Con tecniche di sequenziamento lo studio ha rivelato alterazioni significative nella lunghezza di alcune regioni del DNA sia nelle cellule persistenti che in quelle resistenti ai farmaci. Queste alterazioni nei campioni di tumore negli xenotrapianti prelevati prima del trattamento non erano presenti.

 

Considerazioni finali

Lo sviluppo della resistenza è un fattore limitante importante delle terapie mirate dirette contro i recettori del fattori di crescita epidermico EGFR, o le protein chinasi come BRAF e ABL (25). Ma la resistenza non è dovuta solo a mutazioni già presenti nel tumore anche prima di qualsiasi trattamento. Questo studio ha dimostrato che le cellule tumorali persistenti, ovvero tolleranti ai farmaci e che sopravvivono all’inibizione di EGFR e/o BRAF esibiscono cambiamenti nel DNA, inibizione dei meccanismi di riparazione del DNA, utilizzo della DNA polimerasi soggetta a errori. Aumentano così, transitoriamente, la loro capacità di cambiare per adattarsi. Nelle cellule di organismi multicellulari, la mutagenesi indotta da stress non è normalmente operativa, come non lo è nelle cellule batteriche. Le cellule tumorali che hanno perso l’omeostasi tissutale, attivano questo programma ancestrale e sempre disponibile per sopravvivere a stress. Infatti è scatenato dai farmaci mirati e dalle terapie tossiche. Un processo simile è stato osservato anche nelle cellule tumorali sottoposte a stress causato dall’ipossia.

Gli autori concludono poi parlando della necessità di studiare le firme mutazionali. Cioè l’insieme di mutazioni che il tumore utilizza per adattarsi ad una determinata terapia. Analisi delle varie firme richiederà estesi confronti genomici di più cloni. Inoltre indicano l’inibizione del tumori della macchina di riparazione del DNA, come una vulnerabilità del tumore stesso che potrebbe essere sfruttata clinicamente. L’interferenza farmacologica o genetica potrebbe essere impiegata per frenare i meccanismi cellulari che avviano la mutagenesi adattiva. Questa strategia potrebbe potenzialmente aumentare e prolungare l’efficacia clinica delle terapie mirate.

 

Traduzione articolo

Riassunto

L’emergere della farmacoresistenza limita l’efficacia delle terapie mirate nei tumori umani. L’opinione prevalente è che la resistenza sia un fatto compiuto: quando si inizia il trattamento, i tumori contengono già cellule mutanti resistenti ai farmaci. I batteri esposti agli antibiotici aumentano transitoriamente i loro tassi di mutazione (mutabilità adattativa), migliorando così la probabilità di sopravvivenza. Abbiamo studiato se anche le cellule del cancro del colon-retto (CRC) sfruttano la mutabilità adattativa per eludere la pressione terapeutica. Abbiamo scoperto che l’inibizione del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR)/BRAF nelle cellule tolleranti ai farmaci regola il meccanismo di riparazione del DNA indicato con il termine “mismatch repair (MMR)” ovvero riparazione del disallineamento, e regola i geni di riparazione del DNA della ricombinazione omologa (HR) e, contemporaneamente, regola le polimerasi soggette a errori. Durante la terapia le proteine del sistema di riparazione del DNA “MMR” sono state anche sottoregolate negli xenotrapianti derivati dai pazienti e nei campioni tumorali. L’inibizione di EGFR/BRAF ha indotto il danno al DNA, l’aumento della mutabilità e innescato l’instabilità dei microsatelliti. Pertanto, come gli organismi unicellulari, le cellule tumorali eludono le pressioni terapeutiche migliorando la mutabilità.

 

Introduzione

Oltre 75 anni fa, Luria e Delbrück hanno dimostrato che la resistenza batterica ai virus fagici era dovuta a mutazioni casuali che si verificavano spontaneamente in assenza di selezione (1). Si ritiene inoltre che la resistenza alle terapie mirate nei tumori umani sia dovuta a mutazioni esistenti prima del trattamento (2). L’opinione convenzionale è che le ricadute si verificano perché subcloni mutanti resistenti ai farmaci sono presenti in qualsiasi lesione metastatica rilevabile prima dell’inizio della terapia. Secondo questo punto di vista, la resistenza è un “fatto compiuto” e il tempo per la recidiva è semplicemente l’intervallo necessario affinché le cellule preesistenti resistenti ai farmaci (mutanti) ripopolino la lesione (3).

Qui esploriamo l’ipotesi che la resistenza alle terapie mirate possa essere favorita anche da un aumento transitorio dell’instabilità genomica durante il trattamento, portando a una mutagenesi de novo. Un processo simile ha dimostrato di aumentare l’emergere di ceppi microbici resistenti agli antibiotici (4, 5). In un microambiente stabile, il tasso di mutazione dei microrganismi è generalmente basso, il che preclude l’accumulo di mutazioni deleterie. Tuttavia, in batteri e lieviti sono stati descritti diversi meccanismi di instabilità genetica indotta da stress e aumento della mutabilità, noti come mutagenesi indotta da stress (SIM) (6-12).


Le cellule batteriche persistenti possono sopravvivere a condizioni di stress letali imposte dagli antibiotici attraverso una riduzione del tasso di crescita. Una successiva riduzione dell’efficienza della riparazione del disallineamento del DNA (MMR) (4, 9, 13) e un passaggio a DNA polimerasi soggette a errori aumenta la velocità con cui si verificano mutazioni adattative nella popolazione sopravvissuta (4, 9, 14 , 15). La selezione consente quindi la crescita di sottopopolazioni mutanti in grado di replicarsi in condizioni di stress. Una volta che la popolazione stressata si è adattata alle nuove condizioni, lo stato di ipermutatore viene controselezionato per evitare l’accumulo di mutazioni deleterie e per prevenire il continuo aumento del carico mutazionale (9, 16–20). Insieme, questi processi aumentano la diversità genetica, promuovono l’adattabilità a nuovi microambienti e contribuiscono allo sviluppo della resistenza (9, 12, 18, 19).


Nel contesto del cancro, l’emergere di una popolazione persistente tollerante ai farmaci è spesso osservata quando le cellule tumorali oncogene-dipendenti vengono sfidate con agenti mirati (21).
Le cellule tumorali persistenti sopravvivono all’esposizione a terapie mirate attraverso meccanismi poco conosciuti (21) e rappresentano un serbatoio da cui alla fine emergono derivati geneticamente divergenti e resistenti ai farmaci (22, 23). Lavori recenti hanno mostrato che le cellule tumorali mutanti resistenti ai farmaci possono originare non solo da cloni mutanti rari e preesistenti, ma anche da sottopopolazioni tolleranti ai farmaci (24). La probabilità che si verifichi quest’ultimo meccanismo di resistenza aumenterebbe notevolmente se la diversità genetica delle cellule tumorali fosse potenziata durante il trattamento. Di conseguenza, abbiamo ipotizzato che durante lo stato persistente le cellule tumorali, come gli organismi unicellulari, alterano i meccanismi di riparazione e replicazione del DNA per migliorare la mutabilità adattativa.

Sottomodulazione mirata e indotta da terapie, dei meccanismi di riparazione del DNA MMR (riparazione del disallineamento) e HR (ricombinazione omologa) nelle cellule del cancro del colon-retto (CRC)

Per testare la nostra ipotesi, abbiamo studiato la risposta di linee cellulari di cancro colorettale umano (CRC) con microsatelliti stabili (MSS) all’anticorpo cetuximab anti recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR), che è approvato, insieme a panitumumab, per il trattamento di pazienti con CRC metastatico. Il trattamento con agenti mirati ha portato all’arresto del ciclo cellulare G1 (fig. S1B). Tuttavia, un piccolo numero di cellule persistenti tolleranti ai farmaci è sopravvissuto diverse settimane dopo l’inizio del trattamento (fig. S1, C e D). Infatti, quando la pressione del farmaco è stata rimossa, queste cellule hanno ripreso rapidamente la crescita e hanno mostrato nuovamente sensibilità alla terapia mirata, dimostrando così che le cellule persistenti sono solo transitorie e reversibilmente resistenti al trattamento (fig. S1, E ed F). Al contrario, il trattamento prolungato ha portato alla generazione di cellule permanentemente resistenti, che non hanno riacquistato sensibilità dopo la rimozione della pressione del farmaco (fig. S1, E ed F).

Successivamente abbiamo valutato se le cellule CRC modulano l’espressione dei geni di riparazione del DNA durante il trattamento farmacologico. I profili di trascrizione hanno rivelato una ridotta espressione dei geni coinvolti nei processi di riparazione del DNA (MMR e HR). Inoltre abbiamo confermato che la sottoregolazione o la perdita dei componenti di riparazione del DNA è mantenuta nelle cellule persistenti. La modulazione indotta dalla terapia dell’espressione dei geni di riparazione del DNA è stata transitoria e i livelli di espressione sono tornati alla normalità dopo la rimozione del trattamento.
Le cellule tumorali che avevano precedentemente sviluppato una resistenza permanente agli agenti mirati non modulavano l’espressione dei geni di riparazione del DNA in risposta ai farmaci (fig. S5, B e C).

Le proteine MMR sono sottoregolate nei campioni di malattia residua del CRC dopo un trattamento mirato
Per determinare se i risultati basati sulle cellule si estendono ai campioni di tumore derivati dal paziente, abbiamo sfruttato la nostra biobanca CRC di modelli di xenotrapianti derivati dal paziente (PDX) con annotazioni molecolari e terapeutiche (29, 30). Abbiamo selezionato sei modelli in cui l’inibizione dell’EGFR da parte di cetuximab ha portato alla regressione del tumore in misura variabile, parallelamente allo scenario clinico (Fig. 2A). L’analisi immunoistochimica ha rivelato aree con
sottoregolazione dei geni coinvolti nella riparazione del DNA studiati in tutti i campioni neoplastici ottenuti quando i tumori erano al punto di massima risposta al cetuximab, ma contenevano ancora persistenti residui (Fig. 2, B e C e Fig. S7, da A a D), rispetto ai controlli trattati con placebo.
Successivamente abbiamo studiato se la
sottoregolazione delle proteine di riparazione del DNA si verifica anche in campioni clinici di due pazienti con CRC che hanno ottenuto una risposta parziale obiettiva al trattamento con FOLFOX più panitumumab. In entrambi i casi, i campioni tumorali sono stati raccolti longitudinalmente alla diagnosi e alla massima risposta terapeutica, quando un numero limitato di cellule tumorali è persistente nonostante il trattamento. I geni MLH1 e MSH2 del sistema di riparazione del DNA sono stati sotto-regolati nei campioni di tumore ottenuti durante il trattamento rispetto ai campioni raccolti in pre-trattamento, confermando la rilevanza clinica dei nostri risultati (Fig. 2D).

Induzione di danni al DNA e delle DNA polimerasi soggette a errori nelle cellule CRC trattate con terapie mirate

Oltre alla ridotta capacità di riparazione del DNA, abbiamo scoperto che le terapie mirate hanno innescato un passaggio dalle DNA polimerasi ad alta fedeltà a DNA polimerasi a bassa fedeltà. Le DNA polimerasi solitamente coinvolte in una accurata replicazione del DNA erano sotto-regolate; mentre sono state indotte DNA polimerasi caratterizzate da scarsa precisione, bassa processività e assenza di capacità di correzione di bozze (cioè polimerasi soggette a errori) (Fig. 1A e Fig. S4A). Le polimerasi soggette a errori sostituiscono le polimerasi canoniche ad alta fedeltà che si bloccano quando incontrano una lesione del DNA. Le polimerasi soggette a errori quando incontrano una lesione del DNA, non si bloccano, ma ne facilitano la replicazione del DNA nonostante il danno del DNA. In questo un modo si introduce errori nel genoma (15, 16, 20); questo può portare a accoppiamenti errati delle basi, incorporazione di estremità aberranti del primer del DNA e aumento del tasso di mutagenesi (32, 33).

Abbiamo quindi studiato se il trattamento con terapie mirate porta a danni genomici nelle cellule tumorali e se la riparazione del danno al DNA soggetta a errori è stata favorita quando le cellule CRC hanno incontrato l’ambiente ostile imposto dalle terapie mirate. I nostri dati suggeriscono che le terapie mirate innescano un passaggio dall’alta fedeltà alla riparazione del danno al DNA mediata da errori, aumentando così potenzialmente il verificarsi di mutazioni che conferiscono resistenza ai farmaci.

Successivamente abbiamo esplorato le possibili cause del danno al DNA osservato durante la somministrazione di terapie mirate. Mentre diversi agenti chemioterapici generano direttamente danni al DNA, i farmaci che interferiscono con la segnalazione oncogenica (come gli inibitori di EGFR o BRAF) non sono direttamente genotossici. Curiosamente, tuttavia, è stato dimostrato che alcune terapie mirate, come gli inibitori di chinasi come ABL e BRAF, aumentano i livelli di specie reattive dell’ossigeno (ROS) nelle cellule tumorali (36, 37), contribuendo potenzialmente al danno al DNA durante il trattamento. I livelli di ROS sono aumentati significativamente quando le cellule CRC sono state esposte a inibitori di EGFR e BRAF (Fig. 3C). Al contrario, i livelli di ROS non sono aumentati nelle cellule permanentemente resistenti ai farmaci (adattate) durante il trattamento farmacologico (fig. S9C).
L’aumento indotto dal farmaco dei livelli di ROS è stato abrogato quando sono state somministrate terapie mirate in presenza dell’antiossidante N-acetil-L-cisteina (NAC) (Fig. 3C). Tuttavia, il co-trattamento con NAC non ha impedito o salvato la sottoregolazione dei geni di riparazione del DNA (fig. S10C). In particolare, l’aggiunta di NAC ritarda l’insorgenza della ricaduta alle terapie mirate quando somministrate insieme agli inibitori
di chinasi (fig. S10, D ed E) (38, 39).


L’interferenza con dipendenze oncogeniche avvia la risposta allo stress nei CRC
Per chiarire le basi meccanicistiche della mutagenesi indotta dalla terapia nelle cellule tumorali, abbiamo testato se la mutabilità adattativa che abbiamo osservato in risposta a terapie mirate fosse semplicemente una risposta secondaria all’arresto del ciclo cellulare G1 o al danno al DNA, o se rappresentasse una risposta attiva allo stress
dovuto alle terapie. I nostri risultati escludono la possibilità che la modulazione indotta dal farmaco delle vie di riparazione del DNA possa essere dovuta a un effetto non specifico (fuori bersaglio) dell’anticorpo anti-EGFR cetuximab o dell’inibitore BRAF dabrafenib.


Le terapie mirate inducono mutabilità adattativa nelle cellule CRC
I risultati di questo studio indicano che la risposta allo stress indotta da terapie mirate si traduceva in un aumento della mutagenesi nelle cellule CRC. Abbiamo inoltre scoperto che i derivati permanentemente resistenti non mostravano più mutabilità adattativa in risposta alle terapie mirate (fig. S14).

Alterazioni genomiche nelle cellule CRC dopo trattamento con terapie mirate
Per determinare se l’evidenza molecolare della mutabilità adattativa fosse presente nel genoma delle cellule CRC trattate con inibitori di EGFR e BRAF, abbiamo analizzato i dati di sequenziamento dell’intero esoma (WES).
Lo studio ha rilevato una maggiore instabilità genetica nelle regioni dei microsatelliti delle cellule CRC rese resistenti agli agenti mirati (Fig. 5, A e B), come mostrato da uno spostamento nella lunghezza delle regioni dei microsatelliti, evidenziando l’impatto delle terapie mirate sul processo di riparazione del DNA e mutagenicità. Abbiamo rivelato un cambiamento significativo nella lunghezza delle regioni dei microsatelliti sia nelle cellule persistenti che in quelle resistenti ai farmaci (Fig. 5C e Fig. S17).
L’analisi
delle sequenze del tessuto tumorale resistente al cetuximab in xenotrapianti da paziente, ha rivelato alterazioni nelle regioni genomiche dei microsatelliti che non erano presenti nel tumore non trattato (Fig. 5, D ed E). Nel complesso, questi risultati indicano che le cellule CRC esposte a terapie mirate subiscono una perdita di fedeltà di replicazione nelle regioni di ripetizioni nucleotidiche.

 

Discussione

Lo sviluppo della resistenza è emerso come una limitazione importante delle terapie mirate dirette contro le oncoproteine, come i recettori del fattori di crescita epidermico EGFR, o le chinasi BRAF e ABL (25).
In questo studio, abbiamo testato l’ipotesi che le cellule tumorali trattate con terapie mirate attivino meccanismi mutageni indotti dallo stress. Abbiamo scoperto che le cellule tumorali persistenti (tolleranti ai farmaci) che sopravvivono all’inibizione di EGFR e/o BRAF esibiscono danni al DNA,
e sotto regolazione dei meccanismi di riparazione del disadattamento e delle proteine di riparazione della ricombinazione omologa, passano dalla riparazione del DNA ad alta fedeltà alla riparazione del DNA soggetta a errori e aumentano così, transitoriamente, la loro capacità mutagena.
La mutagenesi indotta da stress è un tratto caratteristico degli organismi unicellulari per accelerare transitoriamente la diversità genetica, in una frazione della popolazione, quando incontrano un ambiente ostile. (16). In effetti, abbiamo scoperto che anche la modulazione della riparazione del DNA indotta dalla terapia nelle cellule tumorali è transitoria e torna indietro una volta raggiunto un panorama mutazionale in grado di ripristinare la capacità di crescere in presenza del farmaco. Postuliamo che nelle cellule di organismi multicellulari, la mutagenesi indotta da stress non sia operativa. Tuttavia, nelle cellule tumorali che hanno perso l’omeostasi tissutale, e per molti versi operano come organismi unicellulari, questo programma ancestrale è ancora disponibile ed è scatenato da farmaci mirati alle oncoproteine. Un processo simile è stato osservato anche nelle cellule tumorali sottoposte a stress causato dall’ipossia (7, 45, 46).
L’analisi delle firme mutazionali è emersa come uno strumento prezioso per documentare i processi mutazionali operativi nelle cellule (47). In studi futuri, sarà interessante stabilire se emergano firme mutazionali specifiche nell’ambito di terapie mirate. È probabile che la risoluzione di tali processi, che postuliamo si verifichino transitoriamente in sottopopolazioni di piccole cellule, richieda estesi confronti genomici di più cloni e datapoint indipendenti.
Questi risultati possono avere implicazioni cliniche. La conoscenza che le cellule tumorali sotto stress terapeutico regolano gli effettori chiave del macchinario di riparazione del DNA, come MMR e HR, espone una vulnerabilità che potrebbe essere sfruttata clinicamente. Ad esempio, sarà importante valutare se la
sotto-regolazione delle proteine per la ricombinazione omologa conferisca sensibilità agli inibitori delle poli-ADP-ribosio polimerasi (PARP) come osservato nei tumori con deficit di HR (48-50). Inoltre, l’interferenza farmacologica o genetica potrebbe essere impiegata per frenare i meccanismi cellulari che avviano la mutagenesi adattiva guidata dai farmaci con l’obiettivo di ridurre la generazione di nuove varianti durante il trattamento. Questa strategia potrebbe potenzialmente aumentare e prolungare l’efficacia clinica delle terapie mirate.


File pdf della traduzione semplificata di Russo et al. (2019) “Mutabilità adattativa dei tumori del colon-retto in risposta a terapie mirate – Adaptive mutability of colorectal cancers in response to targeted therapies.” Science 366 (6472): 1473-1480.

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