Saturday, 27 April, 2024

Capitolo VII – Gli occhi di un padre



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Capitolo VII – Quattro cuori e una capanna

 

“Consolare i dolori altrui, gli è il miglior conforto de’ propri” (N. Tommaseo)

 

Tomba Remaggi Barbagliotti, cimitero di Staglieno

La vita dello scienziato, meno dura di prima, non è però tutta rose e fiori. La vita familiare, è vero, si svolge serenamente e tante preoccupazioni ed incertezze del passato sono ormai lontane, ma il clima universitario e particolarmente quello all’interno dell’istituto di fisiologia rimangono pesanti. La differenza, rispetto agli anni precedenti, è costituita dal fatto che le azioni ispirate da grettezze ed invidie si sono spuntate contro la paziente sopportazione di Luigi ed i loro autori si sono rassegnati di fronte alla constatazione che nulla e nessuno riesce a fermarlo. Si aggiunga che sono ormai molti i colleghi che – alcuni loro malgrado – lo ammirano e gli sono debitori ora di un lavoro, ora di suggerimenti preziosi. Ma, al di fuori di queste pur frequenti motivazioni, se ne sono aggiunte altre di natura professionale, visto che non sono tutti della pasta di Girarrosto. Nascono così rapporti intonati a stima profonda per lo scienziato da parte di famosi chirurghi, come i Prof. Giuseppe Gibertini, Giuseppe Pezzuoli, Rino Vecchiati, di neurologi, come il Prof. Romolo Rossini e di un illustre ematologo, il Prof. Edoardo Storti, che avrà un ruolo importante negli anni futuri. Questa stima discende oltre che dall’evidenza dell’enciclopedica cultura scientifica, anche dalla sua stupefacente capacità diagnostica e da non pochi casi, giudicati unanimemente intrattabili, da lui risolti. Nell’epoca delle diagnosi radiologiche o analitiche, appare inspiegabile la sua capacità di individuare con precisione non solo assoluta, ma a volte superiore a quella consentita dai mezzi tecnici più sofisticati, patologie che solitamente richiedono lunghe e ripetute indagini, mentre il male progredisce senza supporti terapeutici. E’ il caso di un paziente che Luigi visita, diagnosticando un tumore all’intestino. Quando l’uomo si presenta al Prof. Gibertini con una lettera di Luigi nella quale vengono descritte dimensioni, forma e dislocazione della massa, l’equipe del famoso chirurgo si produce in tutta una serie di reciproche smorfie dubbiose ed ironiche. Ma il primario, pur sostanzialmente dubbioso sulla diagnosi, interviene. L’atto operatorio consente di verificare che lo scienziato “ha visto” la situazione in ogni più minuto particolare. Aiuto ed assistenti, ad operazione conclusa, tacciono imbarazzati e con la coda tra le gambe, mentre il chirurgo commenta emozionato quella capacità diagnostica evocante le ombre di Murri ed Albertoni e dopo questo episodio considererà cassazione le sue diagnosi.

 

Quanto ai rapporti di vecchia data, con i fratelli o con i vecchi amici, continuano con una frequenza variabile. Con Filippo si erano visti alcuni anni prima, in occasione della morte di papà Giuseppe. Vicende successive hanno dimostrato che il fratello maggiore non ha mutato mentalità ed abitudini, per cui, complice un episodio assai spiacevole, i due non si vedranno più. Affettuose e relativamente frequenti rimangono invece le relazioni con Vittorio, che lavora in un’industria chimica del milanese e con Giovannino che, dopo una vita infelice contrassegnata dal fallimento del matrimonio e da tristi vicende familiari, ha trovato un modesto impiego grazie ai buoni uffici di Vittorio. Annetta è stata ospite diverse volte nella casa di via Don Minzoni, in occasione dei viaggi per rivedere i suoi due figlioli, uno dei quali vive a Roma, l’altro a Varese. Una vera e propria diaspora quella toccata alla famiglia Di Bella: Maria ha sposato un farmacista e vive a Reggio Calabria, Maddalena e Filippo a Messina, Ciccina vive sola nella vecchia casa di Linguaglossa, Concettina vicino Milano, Filomena a New York.

Proseguono frequenti anche i rapporti con Pompeo, che ricorre spesso all’amico per lavori da pubblicare o da presentare ai congressi della sua specialità. I due si incontrano a Modena, a Firenze od a Pisa: in queste ultime occasioni Luigi, accompagnato più di una volta da Adolfo, con la sua Bianchina imbocca l’autostrada del Sole, inaugurata di recente. Gli piace guidare, osservare il paesaggio montano e non si preoccupa più di tanto se il “macchinino”, come chiama la sua modesta automobile, con i suoi poveri cinquecento cc. di cilindrata ansima nella salita verso il valico: “in discesa li riprendo tutti” annuncia orgoglioso a Pompeo all’arrivo.

Quanto ai suoi ex assistenti di tanti anni prima, hanno trovato la loro strada. Vigildo Ferrari si è trasferito a Bologna, dove è riuscito ad acquistare i locali della sua nuova farmacia. I rapporti, che non si erano mai interrotti, si fanno più frequenti, sia perché Vigildo non riesce a considerare medico nessun altro al di fuori del suo maestro, sia per l’inizio di una collaborazione che andrà via via intensificandosi. Infatti lo scienziato ha dovuto prendere atto che sempre più numerosi princìpi attivi, insostituibili e privi di controindicazioni, non sono più recepiti da specialità farmaceutiche. Le ragioni non risiedono, come potrebbe dedursi secondo logica, dalla comparsa di farmaci migliori, ma da ragioni unicamente commerciali e prive di giustificazioni scientifiche. E’ il segno sempre più evidente dell’onnipotenza delle grosse aziende farmaceutiche, che si fanno strada insidiosamente nella burocrazia sanitaria, negli atenei, nei reparti ospedalieri, non arginate e delimitate nella loro attività da una sempre più debole (e corrotta) autorità statale. Vigildo risponde prontamente alle richieste di Luigi e segue le sue istruzioni per l’approntamento di preparati galenici e sostanze pure. Risale a questi anni l’ideazione di un preparato anti-ulcera di prodigiosa efficacia. Altri al suo posto avrebbero realizzato una fortuna, ma Luigi, che lo aveva elaborato per curare un amico, si limita a indicarne la composizione chimica sulle ricette all’antico allievo, e la formula andrà perduta.

Nel 1963 e nel 1964 escono due lavori, uno dei quali porta il nome di Giovanni Conti, in collaborazione con l’istituto di chimica farmaceutica1. Allo stesso periodo risalgono altre due pubblicazioni, che testimoniano come Luigi debba dividersi tra la clinica otorino di Modena, diretta da P.L. Remaggi, e quella di Bologna, diretta da Paolo Carcò2. L’unica differenza, rispetto al passato, è che appare il suo nome sui lavori!

Intanto Pippo e Adolfo procedono negli studi: il primo è ormai prossimo alla laurea in medicina, mentre il secondo frequenta il liceo classico, dopo avere superato l’esame di quinta ginnasio, nonostante che gli sia capitata come docente di lettere la stessa insegnante che aveva obbligato Pippo a trasferirsi a Parma.

Il richiamo dei misteri della natura e di quella umana in particolare lo affascina e lo spinge verso uno studio continuo, ma in questo periodo Luigi non immagina cosa gli riservi il futuro. Ha rinunciato a vedere riconosciute le sue capacità, anzi, non se ne cura affatto e si prefigura una vecchiaia attiva, laboriosa, ma anche un poco più tranquilla dell’esistenza trascorsa. Già pregusta una vita avvolta dal calore degli affetti familiari: si dividerà – pensa – tra lo studio e la ricerca nel suo laboratorio e la lettura delle migliaia di libri che ha accumulato nel confortevole studio di via Don Minzoni. Eventi di varia natura lo attendono invece di lì a poco.

Il primo riguarderà Ciccina, che già da tempo soffre di capogiri e dolori all’orecchio destro. L’amico Remaggi l’ha visitata e medicata più volte, ma quando i sintomi si fanno più frequenti e pesanti e si aggiunge qualche episodica emorragia, Luigi vuole il parere anche di Paolo Carcò, che diagnostica un processo corrosivo all’orecchio da seguire con la massima attenzione e da trattare chirurgicamente. Ciccina recalcitra e rimanda di continuo. Nel luglio 1965 Pippo si laurea con il massimo dei voti e la lode, sicuramente non avvantaggiato dal nome che porta. Pompeo si offre di guidarlo, se si iscriverà alla scuola di specializzazione in ginecologia ed ostetricia, ma il giovane non si sente di abbracciare questa via. Pensa piuttosto all’otorinolaringoiatria, campo nel quale può compensare la mai sopita ostilità accademica nei confronti del padre grazie ai rapporti di amicizia nati con Remaggi e Carcò. Prima di ogni cosa, occorrerà assolvere agli obblighi di leva e cercare di farlo come allievo ufficiale presso la scuola di Sanità a Firenze.

Nel frattempo, si sono verificati eventi destinati a cambiare il corso della vita dello scienziato e che sembrano quasi predisposti da un disegno misterioso del destino.

Da tempo Luigi si rivolge, per l’acquisto di scarpe per sé ed i ragazzi, ad un negozio gestito da due fratelli. Il prezzo è concorrenziale e la qualità degli articoli buona. Un giorno uno dei due soci, Ermanno Ferrari, chiede consiglio e aiuto allo scienziato. Al figlioletto di sei anni è stata diagnosticata una malattia terribile, una leucemia linfatica acuta. Non esistono dubbi sul male e sulla sua gravità, visto che il reparto di ematologia è diretto da uno dei più autorevoli ematologi italiani del dopoguerra, il Prof. Edoardo Storti, del quale abbiamo prima fatto cenno3. Ermanno è disperato. Vede il bimbo peggiorare sempre di più e aggiorna costantemente l’amico sulle sue condizioni. Sul far della sera capita spesso all’istituto di fisiologia di S.Eufemia e aspetta nell’angusta stanzetta dell’amico che questi si liberi dagli impegni didattici. Adolfo è quasi sempre lì a studiare ed Ermanno parla con lui, fruga tra le espressioni del ragazzo alla ricerca di tragiche previsioni celategli o di speranze. E’ il primo contatto diretto di Adolfo con il mondo della morte e del dolore, la prima esperienza personale di cosa significhi sperare e disperare, lottare per chi si ama. Il bambino, Vittorio, presenta già petecchie ed emorragie, classici sintomi dell’insediamento del male non solo nel sangue periferico, ma anche nel midollo. Come riferirà lo scienziato sette anni più tardi, non disponendo ancora di una casistica personale sulla patologia “…ho vissuto la tragedia quasi come padre, più sentimentalmente che altro …alle spalle di Storti”. Il collega ematologo sa meglio di altri come di speranze non ve ne siano, ma fa del suo meglio per aiutare il piccolo malato e parla apertis verbis al padre: è inutile continuare le tossiche terapie tentate e far soffrire ulteriormente il bambino, visto che non c’è nulla da fare.

In una situazione talmente disperata c’erano tutte le condizioni per fare un ultimo tentativo. Rievocando l’episodio negli anni successivi e particolarmente in occasione di numerose conferenze e interviste di trent’anni dopo, lo scienziato tradirà ancora la viva emozione provata e parlerà di una caso della sorte che lo avrebbe indotto ad intraprendere ricerche sulle patologie neoplastiche. Ma sappiamo che così non è stato. Per la storia, occorre precisare che questa fu solo l’occasione per accelerare ed approfondire studi iniziati venticinque anni prima. Non dobbiamo dimenticare infatti i lavori su vitamina A e betacarotene, risalenti ai primi anni quaranta ed alla loro interazione sul fenomeno della crescita, allo stesso modo della terapia suggerita alla fine degli anni trenta alla sorella Ciccina e basata su vitamine E, A e D.

E’ molto più chiara ed essenziale la sua parola, per cui ripercorriamo i suoi itinerari logici estrapolando i passi principali da un’intervista che avrebbe rilasciato alcuni anni dopo.

[…] ho innanzitutto avuto l’impressione che, in quel caso, la leucemia fosse subentrata o fosse stata facilitata dalla vaccinazione antipoliomelitica che il bambino aveva appena subìto. Come è noto, il vaccino Sabin agisce a livello del sistema nervoso e contemporaneamente a carico anche dei tessuti che producono le cellule del sangue. Tipico, sotto questo aspetto, è il caso dell’anemia perniciosa: oggi sappiamo che è determinata da una carenza di vitamina B12 e la mancanza di questa vitamina si manifesta a volte anche a danno del sistema nervoso centrale. E infine, ecco l’ultima considerazione significativa: nelle ricadute della leucemia le manifestazioni peggiori si hanno appunto a livello del sistema nervoso centrale”.

Appare, quasi figura evanescente, un principio destinato a rivoluzionare il mondo della medicina: l’influenza del sistema nervoso centrale sull’emopoiesi. Una intuizione che da sola, come qualcuno avrebbe successivamente riconosciuto, meriterebbe il premio Nobel. Ma leggiamo ancora qualche riga dell’intervista4.

Mentre seguivo la sorte del bambino, la mia attenzione è stata attirata da uno dei tanti sintomi che compaiono durante il decorso della malattia: le petecchie, cioè le piccole e numerose emorragie sottocutanee. Queste emorragie sono dovute alla considerevole diminuzione del numero delle piastrine circolanti nel sangue del leucemico. Le piastrine contengono una sostanza che tra l’altro è determinante per il sistema nervoso centrale. Questa sostanza si chiama serotonina. E la melatonina non è altro che la serotonina sottoposta ad un particolare procedimento chimico”.

Non c’è tempo da perdere, perché le condizioni di Vittorio si fanno sempre più critiche, per cui inizia a somministrargli soluzioni di 5-ossi-triptamina – la serotonina – con l’assenso di Storti, oltre a vitamine E ed A. Il bambino sembra manifestare risposte positive al trattamento, dato che si verifica un’attenuazione abbastanza netta della sindrome emorragica, specie sottocutanea. Ma le speranze, nutrite prevalentemente dai genitori, in qualche mese sono destinate ad infrangersi contro la crudeltà della malattia. Luigi accorre una sera quando Ermanno lo chiama disperato. Il bimbo ha frequenti movimenti convulsivi ed è chiaro che non si tratta di un episodio, ma dell’inizio dell’agonia. Bisogna evitare che i genitori assistano alla fine straziante che si profila. Riesce ad allontanarli dalla stanza, circonda con le braccia quel corpicino che freme a tratti, in modo sempre meno violento e raccoglie l’ultimo respiro.

I genitori sono affranti, ma trovano sempre consolazione e conforto nelle parole dell’amico, che successivamente li appoggerà nella decisione di traslocare in un’altra abitazione e cercherà, con la dovuta delicatezza, di avvicinarli alla prospettiva di avere un altro figlio, visto che sono ancora relativamente giovani. Ermanno e Laura acquisteranno presto una villetta vicina alla casa dello scienziato, diventando suoi frequenti e graditi ospiti. Qualche anno dopo la tragica scomparsa di Vittorio nascerà una bambina che aiuterà i coniugi a riconquistare la serenità.

L’evento è destinato ad incidere in misura decisiva sulle ricerche. E’ come un lampo che squarci le tenebre notturne illuminando per una frazione di secondo l’intera pianura. La fisiologia sarà il suo Virgilio nell’esplorare spazi sconfinati e mai prima sospettati e sempre la fisiologia guiderà il percorso sperimentale, l’unico che può svelare quell’immenso mosaico che ha intravisto e intuito da tempo. L’anelito che lo muove è come sempre composto, inscindibile più che duplice: la febbre di sapere e capire, spinto dalla percezione della bellezza della natura e dalla bellezza di fare del bene. Lo scienziato e l’artista, la scienza e la poesia: il poeta della scienza.

I mille perché hanno a volte una risposta, ma spesso più risposte: o meglio, ipotesi di risposte. La ricerca …si fa presto a parlarne, ma occorrono mezzi ed uomini. In questo momento fondamentale della sua vita si intrecciano eventi contraddittori, che potrebbero favorire o impedire lo sviluppo delle sue idee.

Il 1966 si apre con alcuni avvenimenti importanti per la famiglia Di Bella. Pippo ha superato le prove attitudinali previste, viene ammesso al corso allievi ufficiali e parte per Firenze. Nel contempo i disturbi di Ciccina, che molto risente della lontananza del figlio maggiore, si intensificano, con più frequenti emorragie che la convincono della improrogabilità dell’intervento. Ma vuole attendere che Pippo concluda il corso allievi ufficiali e Adolfo affronti l’esame di maturità classica. Per giunta Carcò non sta bene e si rivolge a Luigi, che alla fine di maggio si recherà a Bologna per visitarlo, trovandolo pallido, emaciato e sofferente a causa di disturbi cardiaci.

Il Prof. Luigi Di Bella al Symposium di Stresa sui bioflavonoidi

Luigi ha completato un ciclo di ricerche assai importanti sui bioflavonoidi, che hanno richiesto lunghi esperimenti su arterie e vene di bovini ed equini reperite presso i macelli. Parte di queste ricerche vengono eseguite presso la Clinica Otorino dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, mentre altre nel laboratorio di via Marianini con la collaborazione del Dr. Giorgio Sulsenti, assistente di Paolo Carcò. Il lavoro viene presentato al Symposium sui Bioflavonoidi di Stresa il 24 aprile 1966 e le 38 pagine di cui si compone vengono pubblicate tra gli atti del Congresso e successivamente a cura della Clinica Otorino del S.Orsola5.

Pippo, che ha goduto di qualche giorno di licenza, rientra a Modena: essendosi classificato tra i primi del Corso A.U.C., ha ottenuto l’incarico di ufficiale medico presso l’Accademia Militare di Modena. Ai primi di luglio Adolfo sostiene gli scritti e poi gli orali della Maturità, venendo promosso con una media elevata.

Il primo degli eventi ai quali si accennava precedentemente si verifica il pomeriggio del 25 agosto 1966, quando muore improvvisamente Paolo Carcò, l’uomo che ha capito Luigi e che negli ultimi anni lo ha protetto dalle prepotenze dell’ambiente universitario. E’ un colpo durissimo per lui, che nella prefazione al lavoro prima citato tradisce il suo dolore:

In un mondo di soffocante immoralità, eretta a norma di vita, conservo caldo il Suo spirito di aperta e sincera umanità, di quasi ingenua semplicità, di leale amicizia, di fede indiscussa alla parola data. Sempre cordiale, buono, equilibratissimo, fu signore nella parola, negli atti, nelle relazioni umane. […] Sembra impossibile che uomini come Lui debbano morire. Se piccola schiera fra coloro che l’hanno conosciuto e praticato, che hanno ricevuto i beni del Suo cuore, della Sua mente e delle Sue mani, si ricordassero di Lui e della Sua opera, ben salda e duratura rimarrebbe fra gli uomini, oltrechè nelle Scienze, la memoria di Paolo Carcò!”.

Quanto alla situazione di Ciccina, questa si facendo sempre più critica e non è possibile indugiare oltre. Viene disposto il ricovero presso la clinica otorino del nuovo Ospedale Maggiore, della quale è diventato primario il Prof. Canciullo. L’intervento si presenta molto più difficile del previsto, in quanto il processo corrosivo è esteso, giungendo in prossimità del tessuto cerebrale, e l’anestesista deve prolungare la narcosi. Luigi, che ha voluto assistere, è pallido e non riesce a frenare le lacrime, visto che in alcuni momenti si è temuto per la vita stessa della moglie. Nonostante la precisione e la perizia dell’equipe chirurgica, viene leso gravemente il nervo facciale e, passati alcuni giorni e rimossa la medicazione, il viso regolare ed armonioso di Ciccina appare sbilenco. Occorreranno anni e lunghe cure perché l’aspetto torni a quello precedente. Ciccina accetta rassegnata la menomazione, nonostante questa non si limiti ad un puro aspetto estetico, ma incida, seppure in misura limitata, sulla funzionalità della bocca.

Nel frattempo è avvenuto il trasferimento delle principali facoltà scientifiche, prima ospitate nel complesso di S. Eufemia, in una nuova sede e questo, unitamente a nuovi regolamenti universitari insperatamente varati e ad una parziale attenuazione del potere delle baronie d’ateneo, inaugura un nuovo clima di lavoro. Gli Istituti Biologici sorgono ora in via Campi, una zona relativamente periferica della città, più o meno alla stessa distanza da casa del cupo palazzo di S. Eufemia. La cosa più importante è che ora Luigi può aspirare ad avere collaboratori, riprendere il lavoro sperimentale anche in istituto e dedicarsi particolarmente all’approfondimento degli studi ispirati dalla morte del piccolo.

La prima di queste utili collaborazioni proverrà da una sua allieva, con la quale, negli anni, si instaurerà un rapporto filiale.

Nel 1963, alla fine di una lezione, si era avvicinata a lui una giovane studentessa di scienze naturali, che Luigi aveva notato da tempo per l’interesse con la quale seguiva le lezioni. E’ lui stesso che ricorderà l’incontro in un libretto commemorativo scritto nel 19886.

Conobbi Deda circa venticinque anni fa, quando alla fine della lezione venne a dirmi che le erano state trovate cellule LE nel sangue in Clinica Dermatologica, dov’era stata ricoverata; chiedeva spiegazioni sul significato del reperto con ingenua semplicità e con uno sfumato sorriso appena manifesto nel viso largamente deformato dal cortisone. Continuai a vederla invariabilmente per tre anni a lezione, nella terza fila dei banchi di sinistra, impegnata a prendere appunti, che poi metteva generosamente a disposizione dei colleghi. Il 4° anno frequentò anche il corso di Biochimica, con esercitazioni, che tenevo non per incarico”.

Il padre di Deda è ingegnere, la madre, Caterina Ercolani, proviene da un’antica famiglia originaria di un paese sull’Appennino Tosco-Emiliano, Fanano. Si chiama Maria Teresa Rossi, ma tutti la chiamano familiarmente Deda. E’ una ragazza di ventitrè anni, minuta e gracile, con tutta la voglia di vivere della sua età, ma afflitta da una pena segreta che ne mina la serenità e mortifica il suo aspetto fisico: è affetta dalla grave forma di un male che non perdona, il lupus eritematosus. Deda vive il suo stato interiorizzando ansie e paure; nasconde agli amici e, quanto più possibile, ai genitori ed al fratello Raimondo le sofferenze comportate dal male. Sofferenze di solito non acute, ma continue, implacabili, snervanti. Ora la profonda astenia la atterra, accompagnata da una febbriciattola che sembra non dover mai cessare, da inappetenza e persistenti cefalee; altre volte – ed è la cosa che più la umilia e strugge – il viso le si copre di eritemi deturpanti ed i capelli cadono, costringendola non di rado a portare una parrucca. Non difficile immaginare la particolare umiliazione e sofferenza come donna. L’unico rimedio che le è stato prescritto è il cortisone, che se non va oltre l’effetto palliativo, le deforma il viso e danneggia la sua salute. Le è stata fatta una prognosi di due anni di vita e non è facile, in questi casi, reagire con uno “sfumato sorriso”. Luigi ricorderà sempre la pena infinita per quell’esserino gracile come un passerotto infreddolito, che a volte non si sa come faccia a stare in piedi. Consulta la documentazione clinica che Deda gli porta e la visita a lungo, come sempre. Di problemi, congeniti o apportati dalla malattia e dalle terapie adottate, ce ne sono tanti, partendo dal cuore e finendo con un’alterata funzionalità renale.

Non gli è mai capitato di curare una malattia dall’eziologia così misteriosa e virtualmente incurabile. Appronta un primo schema prescrittivo che Deda inizia a praticare, ricavandone subito benefici. E’ ancora presto perché la ragazza possa dare una valida collaborazione scientifica, ma la stessa malattia e le prospettive precarie del futuro la portano a concentrarsi sullo studio. Prepara la tesi di laurea su un argomento elaborato dal suo professore: la distribuzione dell’anidrasi carbonica nel cervello di ratto7. Occorre anzitutto impossessarsi di delicate tecniche sperimentali, come quella di praticare iniezioni nella carotide dei piccoli mammiferi e la predisposizione dei dosaggi. L’ideazione è ovviamente tutta dello scienziato e verte sullo studio degli effetti inibitori dell’anidrasi carbonica negli shock elettrici, della distribuzione del tono muscolare somatico e dell’applicazione nell’uomo. Come scriverà oltre vent’anni dopo:

se si conoscesse appieno l’importanza della diversa distribuzione dell’anidrasi carbonica nel cervello umano e l’opportunità di curare diversamente l’edema cerebrale, minaccioso, conseguente all’intervento chirurgico, potrebbero ottenersi risultati terapeutici indubbiamente migliori, come abbiamo potuto constatare e sperimentare in diversi ammalati di tumore cerebrale, operati … l’anidrasi carbonica …è fondamentale nel regolare un tipo di diuresi e nello stesso tempo nel regolare la funzione e l’eccitabilità di alcuni distretti cerebrali”.

Appena laureata Deda inizia ad insegnare presso una scuola media, senza peraltro abbandonare l’università, dato che era addetta alle esercitazioni presso l’istituto di fisiologia. Ma ancora, a parte l’attenzione per la sua malattia, è un’allieva come tanti.

M. Teresa Rossi, “Deda”

In famiglia le cose sembrano procedere bene. Adolfo si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza, mentre Pippo, abilitatosi e terminato il servizio militare, si iscrive alla scuola di specializzazione in otorinolaringoiatria e frequenta la clinica O.R.L. dell’Università di Modena. Il vedere i figli usciti dal periodo più delicato degli studi ed avviati verso una futura sistemazione lo alleggerisce in parte delle preoccupazioni per l’avvenire, mentre nuovi eventi, prima imprevedibili, si riveleranno determinanti per assicurargli una ragionevole autonomia e libertà d’azione nella ricerca.

Sono presenti Pippo e Adolfo il pomeriggio nel quale il padre dà un contributo decisivo al tramonto di una prassi allora di gran moda, la vagotomia, intervenendo al termine di una riunione scientifica a Modena. Il convegno è stato organizzato con grande risalto dal Policlinico, che ha invitato a riferire gli ideatori di questa tecnica chirurgica, già celebri. La sede della riunione è affollata e gli organizzatori sono emozionati e fieri, dato che si tratta di ospitare autentici luminari. Dopo la presentazione all’uditorio tra espressioni forbite e cerimoniose, gli ospiti riferiscono in merito all’argomento della comunicazione. Alla fine scrosciano gli applausi e viene data la parola a quanti intendono intervenire. Dopo alcuni commenti complimentosi e altisonanti, ecco la solita manuzza alzata. Un bisbiglioso moto di contrarietà tra lo stato maggiore sul palco. No, non si può proprio ignorare, anche perché molti sguardi, alcuni dei quali di succulenta attesa, sono rivolti proprio in quella direzione. E’ un massacro. Già l’inizio suona a morto: “La mia è vox clamantis in deserto: quella di un fisiologo – in un congresso di arditi, moderni e valenti chirurghi – che non si sente di accettare la vagotonia sottodiaframmatica nella terapia dell’ulcera gastrica”. La stizza si fa brivido. Inizia una lezione di fisiologia e neurofisiologia, che in sostanza ribadisce come le funzioni del nostro organismo siano come sono e non come ci farebbe comodo fossero.

[…] Nella giustificazione della vagotomia si è posta in particolare risalto l’ipercloridria nell’etiopatogenesi dell’ulcera gastrica, e si è data importanza alle sparute fibre eccito-secretorie del vago, dimenticando la criticabilità di una delle dimostrazioni dell’azione di queste fibre, quella cioè degli abnormi parametri di stimolazione. Lungo le fibre del vago, non solo toracico, ma anche addominale, vi sono neuroni non solo sensitivi, ma anche vegetativi […] ”.

Contesta, seppure con leggera ironia, la veridicità di farraginosi dati sperimentali esibiti, che pretenderebbero non vi sia compromissione nelle curve di crescita tra cavie vagotomizzate e non. I concionatori sono capitati male: lui ha condotto di recente esperimenti su ratti, dai quali emerge che velocità ed accelerazione della crescita sono nettamente diverse8. E conclude:

[…] la vagotomia sottodiaframmatica è a mio parere una deconnessione vegetativo somatica….molti operati vivono e stanno ‘bene’; come non male stanno, finché la malattia non ha progredito notevolmente, i siringomielici, i tabetici eccetera. Credo che questi esempi dovrebbero saggiamente ammonire e suggerire complementi di studi prima di pentirci forse un domani in ritardo!”.

E’, in poche parole, una condanna di quella che potrebbe definirsi la “medicina dell’apparenza”: il paziente viene dimesso festosamente ed il caso rubricato tra i successi, senza curarsi delle conseguenze, magari fatali, che sopraggiungono dopo breve tempo.

Il moderatore tenta di dribblare l’oscena figura fatta dagli ospiti e la mazzata calata su un intero nosocomio, ma ghigni sommessi e sorrisi a falce di luna sono troppo eloquenti per fare finta di nulla. Non sono soltanto i relatori, ma la locale baronia universitaria a dimostrare la propria ignoranza ed insulsaggine.

Occorre peraltro riconoscere che i due relatori, a capo chino, avvicinano il fisiologo e si scusano per il proprio operato, mentre gli illividiti ed imbarazzatissimi organizzatori attendono con pazienza poco distanti.

Come si suol dire, non è il modo migliore per attirarsi la gratitudine del …sensibile ambiente accademico: ma dei malati sicuramente sì.

I sinistrati di queste sedute avrebbero ben potuto rendere il favore in occasione delle comunicazioni dello scienziato, alcune delle quali tenute proprio nella tana del lupo9. Si astennero sempre, sia per per la coscienza della propria inadeguatezza, che per il timore di aggiungere, alle magre figure rimediate sul podio, ulteriori débacles intervenendo dalle sedie di ascoltatori.

Per ragioni che esulerebbe dallo scopo di queste pagine esaminare ed approfondire, in quel periodo si diffonde la contestazione studentesca, tra alcune luci e molte ombre, idealità genuine e motivazioni oscure. Anche a Modena iniziano contestazioni ed occupazioni dell’università. Luigi condivide dentro di sé alcune istanze degli studenti, non le forme con le quali vengono manifestate, ma evita di parlarne: l’università è un luogo di studio e di formazione e lui intende svolgere sino in fondo il suo ruolo. Non gli garba proprio che qualcuno gli impedisca di entrare in istituto e non tollera che durante lezioni od esercitazioni si parli di qualcosa di diverso dalle materie di insegnamento. Non è uomo che si possa fermare con il cartello “università occupata”, per cui arriva in via Campi, scavalca il cancello e solleva la bicicletta con la quale è arrivato per portarla all’interno del recinto. Nessuno osa protestare, specie dopo che qualche oltranzista è stato ammonito dai colleghi, con argomentazioni magari un po’ rudi, di non azzardarsi a fermare lo scienziato. Molti osservano: “è uno di noi!”.

Ma con l’occupazione arrivano scoperte che fanno rimanere a bocca aperta anche i più smaliziati occupatori. In un certo istituto, e precisamente nell’ala off limits riservata al direttore, un giorno i giovani sostano ammutoliti dallo stupore davanti a tappeti persiani, mobili di artigianato e antiquariato e, soprattutto, davanti ad un imponente letto matrimoniale con tanto di baldacchino ornato da cortine dalle frange dorate. Acquisti effettuati ovviamente con fondi universitari finalizzati alla ricerca. Che si trattasse di una innovativa modalità di svolgere esercitazioni? La cosa finisce sui giornali e persino il rettorato deve assicurare che avvierà le opportune indagini. Per giunta, liberate dal timore di ritorsioni, tante labbra si schiudono e si diffondono notizie prima soltanto mormorate: così quelle relative all’acquisto di apparecchiature mai usate; altre sul mercimonio di esami e, in particolare, su marche esclusive di ombrelli scozzesi venduti soltanto da un negozio di Bologna a prezzi incredibili ed unicamente a studenti, con i quali ci si presenta a certi esami anche col sole che spacca le pietre, e si ottiene la promozione; o, peggio ancora, di studentesse che, senza bisogno dell’ombrello dei loro colleghi maschi, possono superare l’esame solo dopo un master sotto il famoso baldacchino. Sarebbe facile per Luigi approfittare della situazione per pareggiare i conti delle angherie subite: ma non sarebbe l’uomo che è.

Poi, com’è apparsa, la contestazione studentesca scompare. Dopo aver perduto i connotati originari, abbandona gli obiettivi senza che i protagonisti se ne accorgano, strumentalizzata da ambienti con pochi scrupoli e da ghignanti ermellinati. Questi attraverseranno illesi la pioggia di petardi che li aveva investiti e le poche bombe rotolate tra i loro piedi saranno disinnescate grazie a rettori smemorati, magistrati distratti e giornalisti che “tengono famiglia”. I giovani che erano in maggioranza mossi da ideali sinceri, complici la giovane età e l’inesperienza della vita, si lasceranno dirottare da motivazioni estranee alla protesta e verranno sfruttati da ambienti a volte ai limiti della legalità, interessati unicamente a creare occasioni di scontro e di disordine sociale. Degli ideali di una università sana, rinnovata nei programmi, liberata dalle baronie ed affidata a docenti moralmente degni, preparati e animati dalla passione per il sapere, alla fine non rimarrà nulla. Ancora per qualche tempo continueranno, sempre più sbiaditi ed anacronistici, i segni esteriori e più negativi di questa rivoluzione abortita sul nascere. Qualche ritardatario continuerà a deturpare i muri con scritte stupide, trascinandosi sempre più patetico in atteggiamenti che annoiano soltanto e non scandalizzano più nessuno. L’università rimarrà quella che era e, se possibile, peggiorerà ulteriormente. E’ una tattica dei potenti vecchia quanto il mondo quella di fingere di ascoltare, appoggiare, solidarizzare e volgere infine a proprio tornaconto azioni inizialmente sgradite, successivamente utili.

Ma in ogni caso non si spegne completamente il ricordo del brivido corso all’inizio tra mobili, tappeti, letti e Luigi può finalmente fare ricerca anche nell’istituto, oltre che nel suo laboratorio e finalmente rispondere, a chi gli chiede di scrivere lavori per sé o per i propri assistenti, che proprio non ha tempo.

Sarà stato questo brivido, sarà stata qualche resipiscenza, anche l’atteggiamento di Girarrosto sembra mutare. Con lo sconcerto di Ciccina, il marito lo invita a passare insieme la sera dell’ultimo dell’anno. Girarrosto parla a lungo di tribolazioni passate – reali o immaginarie che siano state – di episodi della sua vita, ed appena va via Ciccina si sente dire: “poveretto, però ne ha passate anche lui!”. Mentre ordina la stanza da pranzo e sparecchia, mormora in dialetto siciliano, un po’ contrariata ed un po’ intenerita dalla bontà del marito: “poveretto…! Adesso è diventato poveretto! Dopo tuttu chiddu chi ci fici! (dopo tutto quello che gli ha fatto)”.

Con la moglie Francesca, 1969

Il lavoro sperimentale è arrivato intanto ad un momento decisivo. Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, il grande interrogativo – o meglio – la tesi che, pur convalidata da parecchi collegamenti logici, abbisogna di una dimostrazione scientifica, è che il sistema nervoso centrale svolga funzioni di fondamentale importanza oltre a quelle conosciute. Impossibile essere più chiari e sintetici di quanto sia stato lo stesso scienziato:

In queste ricerche abbiamo indagato l’effetto che esercitava sul numero delle piastrine circolanti la stimolazione delle habenulae, ricerca mai neanche sospettata fino allora e che doveva dimostrare quanto stretti rapporti intercorrano fra sistema nervoso centrale (SNC) e sangue, fra SNC e sistema endocrino, fra SNC e tessuti come il sangue, formato anche da elementi cellulari che si muovono, si rinnovano velocemente, raggiungono tutti gli organi con i quali scambiano sostanze. La difficoltà dell’argomento sembrava insuperabile, perché investiva tutta la fisiologia, in tutte le sue specialità; non solo, ma anche la patologia e la clinica.”10.

In uno scritto di quasi trent’anni dopo11 possiamo trovare ulteriori ragguagli:

[…] Ispirato dalla lettura della bibliografia sulle piastrine….pensai che il mesencefalo e le habenulae avrebbero potuto interferire sul metabolismo delle piastrine e sulla piastrinogenesi, e forse anche nell’eziopatogenesi della L.L.”.

Luigi ha già in mente tutto l’iter sperimentale da seguire ed una delle apparecchiature disponibili in istituto si presta a fungere da strumento fondamentale per la dimostrazione. Non può dire di avere una vera equipe di assistenti e collaboratori, ma la complessità del lavoro impone che altre mani ed altri occhi si occupino di determinate fasi tecniche dell’iter ideato. Il carisma dello scienziato e l’assoluta fiducia nelle sue intuizioni costituiscono un incentivo più che sufficiente per i giovani ricercatori – tra i quali Deda – anche se faticano a comprendere dove voglia arrivare il loro professore e perché abbia tracciato quelle linee sperimentali.

L’attrezzatura dell’Istituto era assolutamente inadeguata e dovemmo arrangiarci, come tutti gli italiani del resto” scriverà vent’anni dopo12. Si trattava di un apparato stereotassico di Horsley-Clarke, che – in folta compagnia – non era mai stato adoperato e del quale mancava persino il libretto delle istruzioni; a questo apparecchio viene accostato uno stimolatore elettrico che eroga correnti quadre a bassa frequenza.

La difficoltà delle procedure sperimentali può facilmente cogliersi se si pensa che occorre procedere alla stimolazione dei gangli delle habenulae, minuscole strutture cerebrali contenute in un punto del cervello, l’epitalamo. L’animale da esperimento è il ratto, più precisamente il ratto Wistar, il topo bianco dagli occhi e dalla coda rossa, disponibile presso allevamenti specializzati. Considerato che si tratta di animali del peso medio di due etti, sarà un’impresa centrare il punto desiderato. Le correnti applicate hanno una frequenza di 50 Hz, sono rigorosamente quadrate zero positive ed hanno una tensione di 1-2 Volt. Per la loro erogazione nel punto desiderato Luigi si serve di elettrodi a permanenza che si è autocostruito, applicati sulla teca cranica con l’aiuto di cerotti adesivi, senza la minima sofferenza dell’animale stesso, che può muoversi all’interno della gabbia, mangiare, bere, durante tutto il tempo di erogazione della corrente, che va da un minimo di mezz’ora a due ore. Le stimolazioni sono fatte su numerosi esemplari e ripetute più volte. Questi ed altri più minuti particolari devono essere precisati nei lavori sperimentali che aspirino ad essere presi nella dovuta considerazione. E infatti lo scienziato li circostanzierà meticolosamente, perché “…le ricerche intanto hanno validità in quanto possano essere ripetute e tutti possano arrivare agli stessi risultati, perché la verità non è retaggio di un singolo sperimentatore.”13. E’ naturalmente un concetto consolidato e l’unico possibile crisma scientifico di un’affermazione relativa ad un fenomeno, purtroppo diffusamente obliterato da discussi e discutibili funambolismi statistici del tempo corrente.

I risultati sono impressionanti. Se dobbiamo credere alle sue parole “il primo ad essere sorpreso è stato proprio il sottoscritto”. Prelevato il sangue degli animali ed effettuate le “conte”, le piastrine risultano aumentate dalle 400/600 mila consuete (nei ratti) fino a 2.200.000 per cm. cubo, e per un periodo che arriva a 72 ore dalla stimolazione. I collaboratori sono presi da un’emozione intensa, quasi da frenesia, consapevoli che è stato scritto un nuovo capitolo nella storia della medicina. Non sono parole grosse le nostre: chiunque si renda conto della straordinarietà dell’evento non può che convenirne. Ci pensa Luigi a smorzare gli entusiasmi. Prima di trarre conclusioni occorre verificare, esemplare per esemplare, il punto esatto nel quale sono arrivati gli elettrodi, e l’unico modo per farlo è sacrificare gli animali, prelevare il cervello, sezionarlo, controllare. Un altro lavoro massacrante. Un’ottantina di cavie sono poi sacrificate con azoto liquido e le loro ossa lunghe, sezionate con bisturi da oculista per estrarne il midollo ed effettuare su questo una serie snervante di controlli. Lo scienziato e gli assistenti passano intere giornate a microscopio: si rifanno le conte, si punta ad escludere ogni possibile errore di valutazione, si indaga sotto ogni profilo d’indagine sul fenomeno osservato. Ma alla fine emerge prepotente e liberato da ogni dubbio il dato fondamentale: in 13 cavie su 13 si è manifestato un aumento indiscutibile e notevolissimo del numero delle piastrine.

Ma quali sono stati i percorsi logici che hanno ispirato questa scoperta? Lo spiegherà lo stesso scienziato in alcuni lavori successivi, ma soprattutto nel corso della conferenza del dicembre 1973. Parlando nelle pagine precedenti della malattia di Vittorio, abbiamo riportato alcune considerazioni dello scienziato che avvaloravano un interessamento del sistema nervoso centrale (SNC) nell’emopoiesi.

Cristallo di Melatonina (1200x) in fluorescenza (510nm)

Vittorio si era ammalato di leucemia dopo il vaccino Sabin, che agiva sia a livello del Snc che dei distretti deputati alla produzione delle cellule ematiche. C’era anche un’altra analogia che poteva trarsi dal caso dell’anemia perniciosa, determinata dalla stessa carenza di vit. B12 della quale risente, sotto diverse forme, il sistema nervoso. Ma c’erano ben altre ragioni che suffragavano l’ipotesi che a Luigi Di Bella girava in testa da anni. Già nel 1951 si era scoperto che le piastrine contengono 5-ossi-triptamina, la serotonina, ed era stato appurato che la sostanza è prodotta in diversi distretti cerebrali, particolarmente nell’ipotalamo e nell’epitalamo. Ma proprio nell’epitalamo Lerner aveva isolato nel 1954 la melatonina, un derivato della serotonina, e lo scienziato era convinto che le differenze tra la composizione chimica della melatonina e quella della serotonina ne cambiassero radicalmente le modalità d’azione. Un’azione della quale non si aveva la più lontana idea, tanto è vero che in uno dei testi di Fisiologia più diffusi, il Ganong14, la melatonina era, e sarebbe stata definita per molti anni ancora “curiosità fisiologica”.

Quanto appurato ha implicazioni immense, nemmeno sospettate dai ricercatori più illustri del tempo. Luigi è quasi titubante a formalizzare in un lavoro i risultati ottenuti, perché si rende conto sì di cosa significhi la scoperta da un punto di vista scientifico, ma comprende anche che si tratta di sovvertire completamente una visione ristretta e superficiale dell’emopoiesi e, soprattutto, di aprire, senza volerlo, un conflitto con il mondo dell’ematologia. I collaboratori insistono perché comunichi al più presto in un congresso scientifico. Si decide di farlo al programmato congresso organizzato dalla S.I.B.S., la Società Italiana di Biologia Sperimentale, che si tiene ad Alghero. Il lavoro viene scritto, arricchito da un ampio corredo di grafici, tabelle, fotografie a microscopio e spedito alla segreteria del Congresso. Il congresso si tiene nella sala riunioni di un albergo, nello splendido scenario marino di Capocaccia: non ci sarà l’ubriacatura dei profumi siciliani e l’inimitabile e misterioso fascino della sua terra, ma il panorama è meraviglioso ed il mare vero mare, tutt’altra cosa dai glabri surrogati romagnoli. L’esposizione dello scienziato provoca interesse e curiosità tra i presenti e l’entusiasmo del vecchio amico, il Prof. Giuseppe Moruzzi15 che, finita la comunicazione, intrattiene Luigi a lungo e gli scrive per congratularsi con lui. Il lavoro viene archiviato tra gli atti del congresso e l’abstract pubblicato16 nel mese di ottobre del 1969.

L’ambiente accademico modenese reagisce invece in modo opposto. Di questo atteggiamento esiste una testimonianza super partes, resa dagli allievi del fisiologo all’inviato del settimanale:

Oggi: I ‘baroni’ sono giunti al punto di minacciare la loro assenza dai più importanti congressi medici se il professor Di Bella fosse stato presente… E invece quando lui è in cattedra l’aula sembra immersa in un silenzio irreale… Lo scorso anno, quando occupammo l’istituto di fisiologia, l’unico docente che poteva entrare e uscire, il solo che non fosse insultato e bistrattato era il professor Di Bella. Stimiamo profondamente Di Bella. Per noi è il vero rappresentante della scienza medica, non solo per il suo sapere, quanto per la sua modestia”.

Le implicazioni della scoperta non sono di immensa portata solo per la scienza sperimentale, ma anche e soprattutto per la medicina clinica. La cosa ci sembra evidente per chiunque ci abbia seguìti con attenzione, anche se non addetto ai lavori. Nulla invece cambia nella prassi ematologica corrente. E’ già presente quella drammatica scissura tra scienza e clinica, che costituisce la vera causa della decadenza e dell’arretratezza della medicina. Chiunque è in grado di ripercorrere l’itinerario sperimentale descritto minuziosamente nel lavoro in extenso dall’autore, il quale è disponibile a dare ulteriori spiegazioni e dettagli. Risulta quindi agevole verificare l’attendibilità dei suoi assunti e, in base a questa verifica, prendere atto di un fenomeno osservato o contestarlo: un’affermazione scientifica non può infatti essere respinta od accolta a priori come si farebbe per una opinione generica e non provata.

La scienza rappresenta una tappa fondamentale della civiltà perché, dopo secoli di surrogati conoscitivi affidati all’empirismo, ha consentito di sconfiggere il grande nemico del pensiero umano: l’errore e l’inganno occultati dalle deviazioni della logica e dalla fallacità dei sensi. In campo scientifico non esistono, su un fenomeno suscettibile di prove sperimentali, due o più verità. Ne esiste una sola. Allo stesso modo in cui non esiste una verità della fede, una della scienza ed una dell’arte; la scienza è ciò che di Dio l’uomo riesce a vedere, la fede a intuire, l’arte a sentire.

Il campo di indagine della scienza è immenso e la decifrazione di interazioni tra determinati fenomeni o classi di fenomeni ed altri apparentemente lontani costituisce non di rado la chiave per dare risposta a tante domande. Il ricercatore monografico difficilmente giungerà a grandi e fondamentali scoperte. Luigi ha sempre fatto oscillare la sua curiosità ed il suo lavoro tra settori ed argomenti diversi, o apparentemente tali. In primavera comunica al congresso annuale SIBS, all’inizio di agosto al “Fourth International Conference on the regulation of food and water intake”, presso il “Gonville and Caius College” di Cambridge; in settembre, a Pavia, al XXII Congresso nazionale della Soc. It. di Fisiologia.

Insieme alle ricerche delle quali stiamo riferendo, altre si indirizzano in svariati campi della fisiologia e della neurofisiologia, saranno presentate in congressi nazionali ed esteri e pubblicate anche nell’arco di questi anni fecondi, dedicati all’eziopatogenesi delle neoplasie17.

Il lavoro di approfondimento su questo campo è ancora lungo e viene portato avanti con il consueto rigore. Altri collaboratori si aggiungono a quelli iniziali e Deda si distingue per l’impegno e la diligenza con i quali svolge le indagini affidatele. Luigi, già da oltre un anno ha deciso di fare da cavia per la melatonina. Le evidenze disponibili indicano che la sostanza è priva di tossicità, ma lui esige un margine di sicurezza assoluto, prima di pensare all’impiego clinico. Acquista, con notevole sacrificio economico, una enorme quantità di melatonina ed inizia ad assumerla in dosaggi iperbolici: anche mezzo grammo/un grammo al giorno, per un anno, contro i pochi milligrammi che inizierà a prescrivere ai pazienti. Non è uomo da mezze misure e si trova agli antipodi dei tanti medici oncologi i quali dichiareranno, nell’ipotesi dovessero ammalarsi di cancro, che non si sottoporrebbero mai a chemioterapia. L’inflazionato “armiamoci e partite” non è mai stato un suo costume di condotta. Così riferirà nel corso della conferenza che terrà qualche anno più tardi, nel dicembre 1973:

L’animale da esperimento che costa meno è il sottoscritto, quindi, i primi esperimenti sull’azione della melatonina li ho fatti su di me. Ho cominciato a prendere la melatonina, perché prima di darla agli altri, è giusto vederne gli effetti sulla propria persona”.

Le analisi che fa alla fine dell’autosperimentazione sono perfette e l’unica anomalia che registra è una:

“…iperpigmentazione, in modo particolare nella parte dorsale e specialmente nelle parti esposte alla luce solare. Finita la somministrazione, l’effetto è scomparso”.

In famiglia il clima è sereno e consente a Luigi di trovare conforto e calore nell’ambiente familiare. Mentre Adolfo prosegue con buoni risultati negli studi universitari, Pippo aspira ad un posto di assistente incaricato, dato che alla clinica ORL di Modena è ancora assistente volontario. Il suo mezzo di locomozione è una vecchia “NSU Prinz” che attira l’ironia del padre e, in occasione di una visita a Modena, anche dello zio Vittorio, che assistendo alla folcloristica messa in moto della vettura, sistematicamente accompagnata da fumo, scossoni e scoppiettìi degni di una sparatoria da Far West, si complimenta ironicamente con il nipote per la sua “Nzù”.

Nel gennaio del nuovo anno – il 1970 – si realizza per Pippo il sogno di diventare assistente incaricato; non lo sarà a Modena, ma all’Ospedale Maggiore di Bologna, presso la clinica otorino diretta da Canciullo, dove prende servizio all’inizio di febbraio: è l’indipendenza economica, che costituisce per il giovane medico l’ingresso definitivo nella vita professionale e per Luigi il dissolversi di una delle più sentite preoccupazioni di ogni padre. La “Nzù” finisce dove deve finire, e cioè da uno sfasciacarrozze e Pippo inizia con entusiasmo la sua vita di pendolare. Nel giugno successivo il nido di casa Di Bella vede volar via il primo nato, ormai maturo. Il giovane assistente otorino corona un altro sogno, quello del matrimonio con la fidanzata Valeria. In giugno Luigi assiste compìto alla cerimonia, pur condividendo con Ciccina l’emozione e la tristezza che giungono come vento partito da lontano: un vento che echeggia dei primi vagiti e delle prime moine, e al tempo stesso estasia e punge il cuore.

Adolfo spesso va all’istituto portandosi dietro i testi delle materie da sostenere e studiando vicino al padre, come ai vecchi tempi di S. Eufemia. Lo scienziato in quel periodo sembra olimpico: pieno di energia, di entusiasmo, rincuorato dalla collaborazione della quale finalmente dispone, più tranquillo per il dissolversi graduale delle ansie per i figli, è una fonte di serenità e di equilibrio per chiunque gli stia accanto. Ha ancora cinquantotto anni, molte delle prepotenze del passato si sono dissolte, vede con sempre maggior chiarezza profilarsi, conferma dopo conferma, la visione di una concezione scientifica originale e rivoluzionaria e nutre dentro di sé la speranza di vederla affermata. Una speranza segregata peraltro in fondo al cuore. Dopo tanto soffrire e delusioni così numerose, lo scetticismo ed il pessimismo sono strumenti, in parte inconsapevoli, di autotutela.

Il lavoro sperimentale prosegue incessante, sfiancante anzi, dato che lo scienziato non è mai soddisfatto delle verifiche fatte. I collaboratori, specie quando si tratta di ricominciare da capo con esperimenti che ritenevano più che eloquentemente dimostrativi, si lamentano clandestinamente di questo rigore, che ritengono eccessivo. Salvo doversi guardare l’un l’altro, a viso basso e umiliati, quando il loro professore spiega le ragioni delle innumerevoli prove. Quello che invece non riescono ad accettare è l’estrema asciuttezza dei testi dei lavori. Ma su questo punto non è possibile alcuna discussione. Luigi non cambierà mai il suo modo di riferire sulle conclusioni ed il significato delle ricerche condotte. Di fronte a fenomeni decrittati con assoluta certezza e chiarezza e corredati da ogni genere di documentazione probatoria, le espressioni rimangono, più che prudenti, quasi ipotetiche. “Sembra potersi affermare che…”, “potrebbe pensarsi a…”, “riteniamo probabile che…”. Altro non è che rispetto: rispetto per la complessità dei fenomeni studiati, consapevolezza delle quasi infinite interazioni possibili, della divina genialità del creato. Ed al tempo stesso di presa di distanza dalla faciloneria di troppe affermazioni tanto più categoriche quanto più incolte che pullulano nella letteratura scientifica.

Se queste ricerche sono condotte presso la nuova sede degli Istituti Biologici di via Campi, il laboratorio di via Marianini non per questo rimane inattivo, anche se il lavoro prevalente è ormai spostato all’università. Le difficoltà tecniche non sono poche e la limitata disponibilità di strumentazione le rende ancora più faticose, costringendo a volte il piccolo staff all’autocostruzione od all’improvvisazione. Così, ad esempio, il prelievo di midollo dalle ossa lunghe delle cavie viene messo a punto dopo svariati tentativi fallimentari ed il sacrificio inutile di non pochi costosi esemplari. Si rivelerà provvidenziale in questo caso il ricorso a bisturi da oculisti e ad un vecchio trapano da dentista. Tutte queste ricerche – è bene sottolinearlo – vengono condotte esclusivamente a spese dello scienziato, il quale decide – caso unico nella storia della ricerca italiana – di non ricorrere ai fondi universitari ai quali avrebbe avuto pieno diritto di accedere!

I collaboratori, di fronte alla constatazione del divario tra le magre risorse economiche disponibili – quelle personali del loro professore – e le risorse auspicabili, premono perché si contatti il Consiglio Nazionale delle Ricerche chiedendo un finanziamento. Il prestigioso ente viene contattato e la risposta arriva con una lettera datata 14 luglio 1970, prot. 98177, firmata dal presidente pro tempore:

Oggetto: richiesta di contributo per ricerche su eventuale presenza di O-metiltransferase nelle piastrine e nei megacariociti; ecc.

Si comunica che il Comitato nazionale per le scienze biologiche e mediche ha preso in esame la richiesta indicata in oggetto ed ha ritenuto di non poter esprimere parere favorevole al riguardo, perché la ricerca non presenta interesse per il C.N.R. ai fini di un finanziamento”.

Come dire: non ti do il becco di un quattrino, perché di quello che fai non mi interessa un fico. Non ci saranno mai più altre richieste di aiuto ad enti istituzionali.

Quanto a Marianini, Luigi vi si reca spesso al di là delle occasioni di lavoro, semplicemente per controllare che tutto sia in ordine o per raccogliere ortaggi e frutta nella stagione adatta. Non rinuncerà nemmeno, ancora per qualche anno, a presiedere gli esami di maturità, servendosi della fida e ormai attempata Bianchina per andare e tornare giornalmente, mentre Ciccina trascorre alcune settimane a Messina; parte insieme ad Adolfo dopo il 17 di luglio, il compleanno del marito, specie per le insistenze del figlio minore, che da qualche tempo sente l’attrattiva non solo del mare di Sicilia, ma anche di un grazioso visetto che sorride da una cornice sul suo comodino.

Se il clima familiare è sereno, molte inquietudini agitano ancora Luigi. Da una parte, si rende conto sempre di più del clamore destinato a riversarsi sull’annuncio di una concezione scientifica totalmente nuova; dall’altra ha una visione chiara della immensa complessità della materia e delle clamorose implicazioni terapeutiche. Non rimane che approfondire le ricerche, pubblicarle e cercare il modo di poter verificare sul piano clinico se le sue idee sono esatte. Insieme agli allievi ultima una quantità impressionante di lavoro sperimentale e si prepara a comunicare i frutti delle ricerche. Dopo avere comunicato i primi di agosto a Cambridge alla “IV Conference on the regulation of food and water intake”, l’occasione si presenta con il XXIII° Congresso Nazionale della SIF (Società Italiana di Fisiologia), che si tiene a Palermo dal 27 al 30 settembre 1971. Inviati i testi di lavori, corredati dalla documentazione relativa, Luigi parte insieme a Deda, I. Zini e L. Lancellotti. Un tuffo al cuore rivedere dal finestrino dell’aereo il blu del Tirreno, le asperità rocciose che circondano Punta Raisi, il monte Pellegrino. Nelle pause dei lavori approfitta per andare a visitare la città, i suoi monumenti, Monreale. Da oltre trent’anni non era stato a Palermo e ne erano trascorsi quaranta da quando, nella primavera del 1931, aveva viaggiato di notte per sostenere il suo primo concorso, con in tasca qualche centesimo soltanto.

Le comunicazioni destano grande interesse, quantomeno in coloro che presentano lavori ai congressi per condividere le loro ricerche, non solo per conseguire titoli, e verranno pubblicati all’inizio dell’anno successivo18.

Ulteriori studi vengono presentati in un congresso nazionale di Biologia19.

Qualche settimana dopo il ritorno a Modena, nell’ottobre 1971, Luigi diventa nonno: Valeria dà alla luce il piccolo Luigi. Il bambino nasce a Sassuolo, nel reparto di ostetricia diretto da Daniele Lolli, l’ex allievo di Pompeo Spoto20, che vent’anni prima aveva alloggiato in via Marianini. Il clima da “grande famiglia” viene evocato quell’autunno dalle riunioni domenicali, con il piccolo Luigi, il grande Luigi e tre generazioni riunite nella stessa casa. Adolfo sta ultimando la sua tesi di laurea e le fosche previsioni del passato sembrano ormai dissolte. Un tardo pomeriggio squilla il telefono nello studio dello scienziato in via Campi:

Papà, è andata bene, mi sono laureato”.
Bene, bene, e…con quanto?”.
Con centodieci…”.
Ma no…!”.

Nemmeno un’ora dopo Luigi arriva a casa con guantiere di pasticcini, accompagnato da Deda e dagli altri allievi. Gli ridono gli occhi, scherza, serve i dolci e versa lo spumante e la gioia arriva al culmine quando arriva la telefonata del relatore, il quale parla con Luigi e gli dice che vorrebbe il neolaureato con sé.

E’ certo una gioia, ma anche una porta che si chiude su una fase della vita. Pippo, che pure abita vicino, ha la sua famiglia, Adolfo parte per la Sicilia a rivedere la fidanzata e trascorrere qualche settimana con lei. Preludio ad una nuova famiglia. Tra poco il nido resterà vuoto.

Luigi partecipa a due congressi nei quali, specie nel secondo tenutosi a Trieste, presenta ulteriori approfondimenti sulla linea di ricerca seguita21. Ma già da tre anni ha iniziato la verifica clinica dei propri assunti, dopo aver fatto eseguire e ripetere – per ulteriore scrupolo – le prove di tossicità presso l’Istituto di Fisiologia e di Farmacologia Veterinaria dell’Università di Milano. Ovviamente, per raccogliere dati pubblicabili, era necessaria una collaborazione ospedaliera, che si era offerto di dargli il collega Prof. Edoardo Storti, l’eminente clinico-ematologo alle cui cure era stato affidato il piccolo Vittorio. Ma proprio quando si iniziavano ad annotare i primi risultati – si era nell’autunno 1969 – Storti era stato trasferito a Pavia, la città di cui era originario22. Lo stesso Storti aveva parlato con alcuni colleghi delle ricerche di Luigi e delle prospettive che potevano aprirsi nella terapia delle malattie del sangue. Uno di questi, l’ematologo dell’ospedale di Alessandria, avvicina lo scienziato, rimane colpito dalla sua concezione e inizia a collaborare. Luigi ne farà un accenno nel corso della conferenza del dicembre ’73: “…il primario collaborava ed era d’accordo con il mio punto di vista”.

Ma non si tratta solo di malati di Alessandria. Già a Modena, Storti ha “seminato” prima di andare a Pavia e Luigi inizia a trattare alcuni pazienti che non rispondono alle terapie ospedaliere o che manifestano le sistematiche recidive. Ha sostenuto spese ingenti per acquistare la melatonina e farla preparare in soluzione alcolica da iniettare. Fornisce gratuitamente la sostanza, e spesso anche altri medicinali, sia ai pazienti che al reparto di ematologia di Alessandria, come dimostra la corrispondenza ancor oggi disponibile, tra cui lettere di ringraziamento per i farmaci ricevuti e richieste di altre forniture anche dello stesso Storti. Luigi aveva consegnato alcune confezioni al collega. Ne abbiamo una prova documentale in una lettera del 25 dicembre 1969, su carta intestata “Università di Modena – Istituto di Patologia Speciale Medica e Metodologia Clinica – Direttore: Prof. Edoardo Storti”. Non sappiamo perché nella lettera non si parli esplicitamente di melatonina:

Chiar.mo Professore,

Come da accordo telefonico Le invio, per incarico del Prof. Storti, una piccola relazione relativa alla sperimentazione clinica di estratto di pineale.

Distinti saluti

Prof. Vittorio Silingardi23

Dall’allegato, anch’esso firmato dal collaboratore di Storti, si fa cenno ad otto fiale, una delle quali rotta, somministrate a tre pazienti per testare eventuali variazioni nella composizione del sangue. Si trattava di una donna cinquantatreenne (C.Z.), con diagnosi di “insufficienza cronica di irrorazione coronarica in pazienti con duodenite acuta”, e trattata in un periodo che andava dal 31 maggio al 18 giugno 1969; di una ragazza ventenne (B.B.) affetta da “obesità essenziale”, trattata dal 17 al 21 giugno; di una signora di 69 anni, “sindrome del gastro-resecato”, trattata dal 16 al 20 ottobre. Quindi pazienti non ematologici, nei quali la sostanza poteva indurre variazioni ematiche inferiori a quelle ipotizzabili, ad esempio, in persone affette da forme leucemiche o da piastrinopenie. La prova avrebbe potuto comunque avere una sua logica scientifica: quella di osservare variazioni in soggetti “sani”.

Lascia smarriti il commento: “…le modificazioni della quota leucocitaria e piastrinica non sembrano significative”. Se effettivamente non si rilevano variazioni significative di globuli rossi e di globuli bianchi, il numero delle piastrine, in due dei tre pazienti, si porta da 260 a 348mila e da 238 a 320mila e questo con un dosaggio minimale di Melatonina (2 milligrammi): un aumento quindi del 34% circa. Viene da chiedersi quale variazione avrebbe potuto essere giudicata come “significativa”! C’era già in nuce l’assenza di obiettività di giudizio che si sarebbe manifestata in futuro?

A parte la melatonina e vitamine come la E, la A e la D3, a seconda della specifica patologia e della situazione clinica, possono trovare ragione d’impiego la Metionin-adenosina, il coenzima A, l’alfa-Msh. I risultati sono sconvolgenti, senza che in certi casi sia possibile seguirne l’andamento successivo. Così accade per due malati di leucemia mieloide ricoverati all’ospedale di Alessandia. Entrambi, dopo soli dieci giorni di trattamento, accusano un miglioramento così netto che firmano e tornano a casa. In uno dei due le piastrine si portano da 92.000 a 195.000 ed il puntato sternale non evidenzia più forme immature. Anche nei cinque casi di trombocitopenie idiomatiche, qualcuno dei quali relativo a piccoli pazienti modenesi, i risultati sono sorprendenti. Una bimba di sei anni e mezzo, ricoverata nel reparto prima diretto da Storti, con 14.000 piastrine e dimessa con 7.000, dopo alcune settimane fa registrare un aumento di piastrine fino a 135.000, mai avute in tutta la sua vita fino a quel momento. Gli ematologi modenesi fanno ripetere più volte le analisi, convinti si tratti di un errore e, quando arriva la conferma dei valori sorprendenti emersi, raccomandano: “continui la vecchia cura…”. Un altro bambino di dodici anni, affetto da leucemia linfoide, all’inizio diagnosticata erroneamente per affezione reumatica, con una formula leucocitaria disastrosa, fa registrare la totale scomparsa di blasti e la risalita a livelli di assoluta normalità di globuli rossi, bianchi e di emoglobina.

Ma un ricercatore non può essere monotematico e lo scienziato, insieme ad alcuni allievi, parte per Parigi, per comunicare al “9° Congrès International de Gastro-Entérologie” che si tiene dal 5 al 12 luglio 197224. Come sempre è stato e sempre sarà, le spese di viaggio e di soggiorno si pagano di tasca propria: Luigi Di Bella non appartiene alla categoria di quanti vanno ad assistere ai congressi spesati di tutto punto, specie se in località amene e in dolce compagnia. Alloggia in pensioncine e, quando possibile, negli ostelli della gioventù, dove per somme modiche si può dormire in una brandina ed avere la prima colazione, anche se questa si limita ad un tè od a qualche caffè-broda. Nel tempo libero, gran camminatore qual è sempre stato, gira per la capitale francese incurante della calura estiva. Dopo una decina di chilometri, rimane solo: nonostante i suoi sessant’anni ha lasciato una diaspora di giovani assistenti sfiniti nei bar lungo il percorso. Non crede ai suoi orecchi quando si concede una sosta in un bar e sente parlare dialetto siciliano. Basta un breve scambio di parole ed il proprietario, appreso che quel signore, abituato a girare in giacca e cravatta anche d’estate, è del catanese come lui, gli fa gran festa, servendogli un caffè finalmente degno di chiamarsi tale.

Un dolore, previsto, appannerà presto in Luigi la soddisfazione per i risultati sperimentali e per l’interesse incontrato dalla sua comunicazione. La casa di via Don Minzoni si fa di colpo silenziosa. Il pomeriggio il viso di Ciccina si intravede accosto alla finestra della camera da letto, gli occhi umidi, lo sguardo perduto. Quando lui rientra la sera, la trova ancora sveglia, seduta nel tinello con il rosario tra le mani. Adolfo è partito per gli obblighi di leva. Un triste giorno di ottobre la vecchia Bianchina aveva ospitato Ciccina ed il figlio “piccolo”, mentre per la via Emilia si dirigeva a Bologna, da dove sarebbe partito il treno per Napoli. Luigi guida come sempre con il cappello in testa, tenta di scherzare, parla di tutto tranne che del motivo di quel breve viaggio. Ad un certo punto la fedele Bianchina fa le bizze e minaccia di fermarsi. Sembra che voglia trattenere il giovane arruolato. Il marito di una ex allieva, titolare di una farmacia di Castelfranco Emilia ed anch’egli farmacista, riconosce il suo professore ed accompagna i tre a Bologna.

Adolfo frequenterà a Maddaloni, in provincia di Caserta, il corso allievi ufficiali di amministrazione. Pippo, Valeria ed il piccolo Luigi sono molto spesso in via Don Minzoni, per cercare di fare compagnia a Ciccina e distoglierla dalla tristezza. Luigi ha chiuso a chiave la stanza di Adolfo. All’ora di pranzo, prima ancora di sedersi a tavola, apre la porta, si siede sul letto del figlio assente e non riesce a reprimere le lacrime. Ha sempre educato i suoi figli in modo spartano, abituandoli ad affrontare disagi e difficoltà, ma adesso non fa che pensare a quell’ultimo figliolo lontano, abituato a passare molte delle sue giornate a casa, studiando o leggendo.

Il 28 ottobre parte per Lublino, incaricato dal rettorato di stabilire un rapporto di collaborazione con l’università polacca, in occasione di una comunicazione scientifica per la quale ha già spedito l’abstract. L’Università di Modena ha organizzato come peggio non si poteva la trasferta e lo scienziato riesce a trovare per due giorni vitto ed alloggio grazie all’amicizia personale intrecciata con il Prof. Cytawa, direttore dell’Isituto di Fisiologia già incontrato a Cambridge. Nel pomeriggio del 3 novembre comunica presso la sede della Società polacca di Fisiologia e Farmacologia. Il suo lavoro Portal thermoreceptors intervening in food and water introduction viene elogiato e pubblicato sugli Acta Physiologica Polonica.

Dopo la breve pausa della licenza natalizia, “giro di boa” del semestre del corso, il clima triste della casa si attenua, ma Ciccina comincia ad accusare disturbi cardiaci che fanno preoccupare e tribolare Luigi. Quando finisce il corso e Adolfo torna con la stelletta da sottotenente sulle spalline, sorge con lui qualche incomprensione, perché il figlio minore, che si è classificato bene e può scegliere la sede nella quale completare il servizio di leva, opta per il distretto militare di Messina, città nella quale vive la fidanzata. A Modena Luigi avrebbe potuto cercare di aiutarlo, gettare le basi per trovare l’occasione di un lavoro adeguato nella stessa città e rimane dispiaciuto per una decisione che non approva.

Nell’estate del 1973 parte per gli Stati Uniti, partecipa ad un congresso scientifico instaurando contatti con ricercatori incontrati alla Albert Einstein di New York e comunica in un “Commencement” che si tiene il 31 agosto presso la Southern Illinois University di Edwardsville. All’inizio dell’autunno considera che i dati clinici raccolti sono ormai significativi. Pippo, che da tempo insiste perché vengano resi pubblici, preme sul padre perché ne informi la comunità scientifica. E’ convinto, come lo sarebbe stata qualsiasi persona al corrente di questa realtà, che costituisca un dovere dare all’umanità la possibilità di affrontare queste tremende malattie incurabili. Luigi invece non può ignorare quanto ha appreso e compreso in decenni di conoscenza dell’ambiente universitario, medico, farmaceutico. Come si può pensare che i nemici di sempre prendano atto delle sue ricerche e dei risultati ottenuti? E’ forse pensabile che centinaia di tronfi cattedratici, beneficiari di privilegi di ogni genere, ammettano di essere delle nullità e si facciano stracciare da uno che ha la fissazione di studiare e fare ricerca sul serio? E’ realistica l’idea che questa recente specialità – l’ematologia – favorita da programmatori di lucrosi affari, dimostri di non avere significato alcuno se avulsa da una visione e da una mentalità fisiologica e neurofisiologica? Il “teorico”, incubo degli ambienti medici modenesi (e non solo), odiato, motteggiato, calunniato, vilipeso, cosa crede, di poter andare a dire “signori, tanto per cambiare non sapete e non capite niente, adesso vi spiego come si curano le leucemie” e di farla franca? Immaginiamoci poi ottenere da questa gente interesse e collaborazione!

C’è però un fatto che nessuno può ignorare: sono soltanto 500 in tutto il mondo i leucemici vissuti più di cinque anni e non è pensabile che si possano fare spallucce di fronte alla concreta possibilità di una terapia totalmente priva di tossicità dai risultati mai ottenuti prima. Un ragionamento che sarebbe ineccepibile, se il mondo contemporaneo anteponesse le ragioni della vita a quelle delle banconote. I fatti dimostreranno che quello dello scienziato non era pessimismo, ma lucida e disincantata visione della realtà.

Pippo avvicina esponenti di spicco del mondo medico bolognese, senza riscontrare un genuino interesse, fino a quando decide, con una certa esitazione, di avvicinare il clinico più autorevole, il Prof. Domenico Campanacci, sui cui testi si erano formate generazioni di medici italiani, al tempo presidente della Società Medico Chirurgica di Bologna25. E’ indiscutibilmente una figura prestigiosa, vero riferimento della medicina italiana per cultura scientifica e perizia clinica. Campanacci conosce bene Luigi, per essere stato suo collega negli anni 1937/39 all’Università di Parma, dove ricopriva il ruolo di incaricato di patologia medica. L’illustre ed anziano luminare non solo si è formato secondo i rigorosi e selettivi criteri degli atenei dell’anteguerra, ma, specializzatosi in anatomia patologica a Vienna, dove era stato interno di clinica medica dal 1922 al 1924, condivide con il fisiologo la provenienza dalla gloriosa scuola che ha prodotto astri della medicina come A. Murri, P. Albertoni, P. Tullio. Egli stesso parlerà di questi elementi che li accomunano: “per li rami”, provengono entrambi dalla stessa mentalità, dirà presentando Luigi all’uditorio. Si appassiona immediatamente alle ricerche del collega, ne comprende in pieno l’importanza e propone a Pippo di organizzare una conferenza in una sede prestigiosa, quella dell’Archiginnasio, sede della società medico chirurgica.

E Luigi accetta, rassicurato dalla limpidezza morale e dall’autorevolezza del collega.

 

 


1. L. Raffa, M. Di Bella, L. Di BellaSolfonamidi ad azione sul sistema nervoso centrale. Il Farmaco, luglio 1963, n.7;
L. Raffa, M. Di Bella, L. Di Bella, G. ContiSolfonamidi ad azione sul sistema nervoso centrale/nota II. ‘Il Farmaco’, maggio 1964, n. 5.
Questi i “summary” dei due lavori:
1) E’ stata preparata una serie di 2-acilaminobenzensolfonamidi, alcune delle quali sostituite nell’anello benzenico o nel gruppo solfonamidico, e se n’è saggiata l’attività anticonvulsivante. In tutti i composti esaminati si è potuto rilevare in modo più o meno evidente un’attività neurotropa anticonvulsivante alla quale si accompagna, per alcuni termini della serie, un’azione ipnotica o anestetica generale. Questi effetti compaiono di norma quando sono presenti alogeni nella catena acilica o nell’anello benzenico. Sembra che l’effetto anticonvulsivante rilevato sia soprattutto dipendente da inibizione della sostanza reticolare eccitante mesencefalica.
2) E’ stata esaminata una serie di 2-acilaminobenzensolfonamidi [composti (I) → (XVII)] le quali tutte hanno dimostrato in maniera più o meno pronunciata, a seconda dell’acile presente in molecola, una attività neurotropa anticonvulsivante. Si è potuto rilevare che l’acetilazione, mediante cloruri di acidi carbossilici, della 2-aminobenzensolfonamide, in ambiente di N,N-dimetilformamide, può condurre alla formazione di quantità più o meno cospicue, a seconda della natura dell’acilalogenuro, di 1,2,4-benzotiadiazin-1,1-diossido, presumibilmente generatosi dalla 2-aminobenzensolfonamide, attraverso una reazione di formulazione ad opera della N,N-dimetilformamide.

2. Di Bella L. Sulsenti G.Patogenesi del danno cocleo-vestibolare dopo traumi cranici. dalla Relazione Ufficiale al LII Congresso della Società Italiana di Laringologia-Otologia-Rinologia, Palermo 24-27 settembre 1964 – Bologna, Tip. Luigi Parma.
L. Di Bella, G. Lovino, C. MontanariAttività labirintica e circolo sistemico – Variazioni di temperatura cutanea e viscerale dopo stimolazione labirintica – Ricerche sperimentali. Atti del Congresso della Società Italiana di Laringologia-Otologia e Rinologia – Palermo, settembre 1964.

3. STORTI, Edoardo in Enciclopedia Italiana Treccani. Dal 1973 al 1976 presidente della Società Italiana di Ematologia. Dal 1973 al 1989 è direttore della rivista Haematologica.

4. Gabriele Zappa, 7 dicembre 1973.

5. P. Carcò, L. Di Bella, G. SulsentiMeccanismo d’azione vasculotropa dei Bioflavonoidi e loro impiego in otorinolaringoiatria.

6. Maria Teresa Rossi (Deda), edizione tipografica, 1988. Copyright famiglia Di Bella.

7. L’anidrasi carbonica (o carbonato deidratasi) è un enzima presente nei globuli rossi.

8. Questi dati saranno illustrati dallo scienziato a Bruxelles il 29 settembre 1968 al Seance extraordinaire de la Societè Belge de Gastro-Enterologie, nel corso della comunicazione del lavoro La secrétion chlorhydrique de la muqueuse isole de rat vagotomisé ou non.

9. L. Di Bella, M. Corvaglia, A.L. Piccagli – Determinazione del lining alveolare col metodo di Pattle: osservazioni e proposte. – L. Di Bella, M. Corvaglia, M.T. Rossi – L’innervazione polmonare nella liberazione del lining. – L. Di Bella, M. Corvaglia, A.L. Piccagli – Nuove vedute sulla patogenesi dell’embolia sperimentale polmonare. – Arch. Società Medico Chirurgica di Modena, 26 marzo 1969.

10. Deda, edizione tipografica, 1991. Copyright Famiglia Di Bella.

11. Prof. Luigi Di Bella – Relazione per il convegno di Reggio Calabria 25 gennaio 1997. Pubbl. nel volume Melatonina: dalla ricerca agli interventi, Edizioni Euromeeting, ©1997.

12. Opera citata- cfr. nota 57.

13. Dalla “sbobinatura” della conferenza del 6/12/1973 alla Società Medico Chirurgica di Bologna (copyright Fam. Di Bella).

14. William F. Ganong: Fisiologia Medica, Ed. Piccin.

15. Moruzzi è stato giudicato uno dei più grandi scienziati italiani del XX secolo.

16. L. Di Bella, M.T. Rossi, N. Pellegrino, A. Grimaldi, V. Santoro – Ruolo del sistema abenulo-ipofisario nella regolazione del tasso piastrinemico. – Boll. S.I.B.S., Vol. XLV, num. 20bis, 31 ottobre 1969.

17. Determinazione del tensioattivo alveolare: critiche e proposte di novi metodi. Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1969, 69, 193-230. – La preferenza per soluzioni sapide di ratti a varie temperature ambientali. Boll. SIBS, 1970, 46, Com. 112. – Contributo allo studio del valore alimentare dell’urea e delle basi puriniche nei vitelli. Boll. SIBS, 1970, 46, Com. 111 – Variazioni della preferenza in funzione della temperatura ambientale. Arch. Fisiol., 1970, 68, 55. – Utilizzazione dell’urea quale fonte azotata nei ruminanti. Arch. Fisiol., 1970, 68, 55. – Ruolo dei nervi del gusto nell’assunzione di acqua e NaCl, e degli alimenti. Boll. SIBS, 1971, 47, Com. 88. – Influence of taste organ on food, water and NaCl intake, Cambridge, 1971, Fourth International Conference on the regulation of food and water intake. – Isotonic pendular contractions of rat small bowel after thymectomy or autologous muscle transplantation in young thymus. Arch. Franç. Mal. De l’Appar. Dig., 1972, 61,28C. – Fissazione della carbonidrasi sul sistema nervoso centrale di ratto. Boll. Soc. Med. Chir. Modena, 1972, 72, 1-19. – Il compartimento cellulare del sangue nel passaggio per il piccolo circolo. Boll. SIBS, 1972, 48, Com. 115. – Le differenze artero-venose del compartimento cellulare del sangue dopo oleotorace, associato o meno alla vagotomia. Boll. SIBS, 1972, 48, Com. 116. – Modificazioni del compartimento cellulare del sangue del piccolo circolo dopo esclusione del vago. Boll. SIBS, 1972, 48, Com. 117.

18. L. Di Bella, Lancellotti L., I. Zini, M.T. Rossi – Dinamica midollare dopo trattamento subacuto e cronico con melatonina. Archivio di Fisiologia, Vol. 69, 1972, fasc. 1, pp. 90-91 – Dinamica megacariocitica e piastrinemia dopo trattamento con melatonina. ib. pp. 129-130 – Alcuni aspetti dei rapporti fra leucopoiesi e piastrinopoiesi. ib. pp. 75-76 – Ricerche di dinamica midollare nel Mus Rattus”. ib., pp. 113-114 – L. Di Bella: Ruolo dei nervi del gusto nell’assunzione di acqua, di Nacl e degli alimenti. ib. pp. 74-75.

19. L. Di Bella – Effetti della perfusione melatoninica sulla differenza artero-venosa del compartimento cellulare del sangue circolante nei ratti splenectomizzati. Boll. SIBS, 1972, 48, Com. 118 – Differenze artero-venose del compartimento cellulare del sangue circolante dopo scapsulamento. Ib., 1972,48, Com. 119.

20. Vedi cap. V.

21. L. Di Bella, I. Zini, M.T. Rossi, P. Sorgato – Effetti della perfusione melatoninica sulla differenza artero-venosa del compartimento cellulare del sangue circolante nei ratti splenectomizzati. Boll. Soc. It. Biol. Sper., vol. XLVIII, n. 20 bis, 31 ottobre 1972 – L. Di Bella e all.: Ricambio piastrinemico e tensioattivo alveolare. Boll. SIBS, vol. XLIX, n. 18 bis, 126 – Studio di alcuni fattori del ricambio piastrinemico. ib. 125 – Sequestrazione polmonare di leucociti e tensioattivo alveolare. ib. 127 – Ripercussioni del tasso piastrinemico sulla dinamica polmonare in vitro. ib. 128 – Variazioni del tasso leucocitario e curve di insufflazione e di desufflazione. ib. 129.

22. Il prof. Edoardo Storti era nato in provincia di Pavia nel 1909, ed era stato chiamato a dirigere la Patologia Medica all’Università di Modena nel 1951. Allievo del Prof. Aldo Ferrata, il più illustre ematologo italiano, scomparso nel 1946, aveva collaborato con lui nella stesura dei volumi de Le malattie del sangue.

23. Il Prof. V. Silingardi sarebbe diventato successivamente primario di oncologia presso il Policlinico di Modena, mantenendo un atteggiamento sostanzialmente ostile nei confronti di Luigi Di Bella.

24. Luigi Di Bella e L. Morelli – Isotonic pendular contractions of rat small bowell after thymectomy or autologous muscle transplantation in young thymus. Archives Françaises des Maladies de l’Appareil digestive, Tome 61, n. 67.

25. Il Prof. Domenico Campanacci, nato a Cortona il 18-2-1898, e laureatosi a Firenze nel 1921, fu assistente alla Clin. Med. di Firenze, interno a Vienna, aiuto a Parma, titolare della cattedra di Patologia medica a Bologna nel 1953, dopo avere conseguito tre libere docenze. Autore di numerosi lavori e testi scientifici (oltre 150), e collaboratore di importanti riviste medico-scientifiche, viene unanimemente considerato il più illustre clinico italiano del dopoguerra insieme al Prof. Frugoni. E’ noto in particolare per il suo Manuale di Patologia Medica, in quattro volumi.

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