Sunday, 01 December, 2024

Prefazione


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Prefazione

Gli ultimi tristi mesi della vita di mio padre videro succedersi speranze e scoraggiamenti, raramente foschi presagi, perché chi gli viveva accanto amandolo non riteneva possibile che potesse soggiacere alla legge di natura e cessare di respirare come aveva iniziato a fare novant’anni prima.

Chiunque lo abbia conosciuto e compreso non si meraviglierà di questa convinzione: irrazionale, ma ispirata dalla potenza di vita che zampillava da ogni sua parola e dall’illusione che l’immortalità di un grande spirito possa comunicarsi al corpo che lo ospita.

Cominciai senza fretta ad annotare le rievocazioni della sua vita, sempre più frequenti man mano che le condizioni di salute degradavano, convinto che avrei potuto leggergli questo libro: fui colto quindi impreparato da un evento tanto più esorcizzato quanto più annunciato per segni concordi.

Ho fatto in tempo a sentirgli raccontare tanti episodi dell’infanzia e della giovinezza, attingendo alla memoria mia e di mio fratello per eventi successivi, questi a volte rievocati da lui stesso o già appresi da mia madre, altre volte risalenti alla vita comune.

Lettere e documenti, disponibili in abbondanza, mi sono stati d’aiuto, allo stesso modo di coloro che, avendolo conosciuto intimamente, hanno contribuito a colmare lacune altrimenti inevitabili.

L’idea di scrivere la sua biografia mi ha inizialmente intimorito, sia per la difficoltà di rappresentare una personalità tanto complessa, che per lo scrupolo di sovrapporre una visione personale delle cose alla realtà; e non è mancato il timore che qualcuno potesse leggervi la ricerca di un immeritato rilievo personale.

Ma dopo mesi di riflessione e di inquietudini ho superato queste perplessità, nella convinzione che il giudizio altrui deve interessare, ma non paralizzare se la coscienza è linda e la meta prefissata non al di là delle nostre possibilità.

L’esistenza di chi è figlio di un uomo che ha fatto la storia e passerà alla storia non è facile: con noi la società non è giudice, ma pubblico ministero; non vige il metro comune, ma quello del confronto. Metro che sarebbe giusto, qualora avessimo la stolta e folle mira di impagliare il nostro smunto profilo con la pienezza del nome: l’umiltà è solo coronamento della grandezza, ma un obbligo per la normalità.

A risolvere ogni indugio è stata la considerazione che oltre cinquant’anni di vita in comune, l’intimità e la confidenza che unicamente un rapporto come quello tra padre e figlio consente e certe clonazioni caratteriali e ideali non potevano essere buttate via, lasciando magari spazio ad analoghi tentativi di estranei che l’uomo lo hanno forse ammirato, non sempre compreso, in qualche caso tradito. Un celebre scrittore ha detto: “Ogni grand’uomo ha i suoi discepoli, ed è sempre Giuda che gli fa la biografia” (Oscar Wilde – The critic of Artist). Ed è stata anche la volontà di evitare che questa odiosa legge storica si ripetesse a rafforzare la mia decisione.

Luigi Di Bella è stato un grande incompreso, come scienziato e come uomo ed uno dei miei propositi è, almeno, quello di rendere giustizia alla sua figura.

Esaltato e non umiliato dalla sua statura, onorato dal cognome che porto, gratificato dall’immenso amore che ci ha dimostrato per tutta la vita, ho deciso di assecondare il destino e di svolgere sino in fondo, durante e dopo la sua vita, il ruolo che questo mi ha assegnato: quello di figlio.

Nel dolore seguito alla perdita, mi è di conforto evocarne il probabile commento alle mie azioni, farlo respirare, muovere, vedere e sentire tramite mio, riconoscerne qualche tratto nello specchiarmi, sorridere se mi torna in mente qualcuna delle battute scherzose escogitate dal suo pudore per arginare e dissimulare le emozioni più vive.

Così, magari mentre rinnovo i fiori davanti ai suoi ritratti ed alle sue cose, ho l’impressione di vedermelo accanto – le mani nelle tasche del camice ed un sorriso di tenera ironia – e di sentirlo mormorare:“ma come sono diventato importante!”. Questa sua immanenza non mi sembra originata da un triste artificio consolatorio, ma dalla misteriosa giustizia dell’universo, che ci dice come l’amore, apogeo dell’energia vitale, continui dopo ed oltre di noi. Tutta la sua vita è stata un immenso atto di amore, tanto forte e tanto evidente che è sfuggito ai più.

Amore per l’uomo, per il genio incommensurabile del suo Autore, per la bellezza che muove ogni cosa. Questa immanenza mi è sempre stata di guida nello scrivere, descrivere, interpretare, evocando sempre il suo giudizio, sempre anteponendo ad ogni considerazione il rigore, l’amore per la verità: verità che egli considerava coefora della dignità personale e unico strumento per la liberazione dell’uomo dall’abbrutimento.

Questa non é un’agiografia, ma una biografia che si propone di narrare e commentare la vita di un uomo straordinario, ristabilire la verità di fatti troppo spesso alterati, delinearne l’indole, decifrare i motivi e le origini delle sue azioni, rievocare la sofferenza ed i rapimenti del suo spirito, l’amore e la pietà, l’incredibile potenza di volizione e la tenacia che, queste sole, fanno di un uomo un grande uomo. Anche da fatti apparentemente semplici della vita familiare, oltre che dalla grandiosità della sua opera, possono infatti emergere l’uomo ed il messaggio lasciato agli uomini di oggi e di domani; meglio ancora se saranno i fatti, non le parole, gli eventi, non i pareri a tracciarne la figura.

Mancano censure e silenzi, perché non c’è nulla da nascondere o tacere: lo consente l’aria fresca e pura che ha alitato in ogni minuto della sua vita. Ho controllato con la massima diligenza ogni fonte di notizie, perché gli mancherei di rispetto se cadessi nella retorica o tradissi la verità.

Di quando in quando, soprattutto occupandomi dell’ultima parte della sua esistenza, ho preferito non soffermarmi su persone che ci è toccato conoscere: le ragioni di tale scelta sono state il ribrezzo di rievocare autori di malvagità e bassezze, la volontà di evitare che ricadano sui figli le malefatte dei genitori, l’avvilente squallore di comportamenti accordati troppo in basso rispetto all’alta frequenza dell’uomo. D’altronde cattiveria e meschinità sono pene a se stesse e la mediocrità è già una prigione troppo angusta per aggravarla con esecrazioni.

In conclusione non mi pento di avere scritto questo libro, del quale ho fatto in tempo a leggergli le prime pagine ed anticipargli le linee guida, cogliendone l’approvazione nelle sue parole e nella commossa tenerezza dei suoi sguardi. Ciò che più mi gratificherebbe sarebbe un suo palese apprezzamento dell’opera compiuta: non potendolo udire, mi sentirò appagato se sarò riuscito ad approssimare la rappresentazione del suo pensiero e del suo sentire. Mi illudo comunque di non avere fallito, fiducioso che mi sia stato sempre vicino in questi anni di lavoro, consigliandomi e guidandomi e che lo sarà fino a quando, scontata a mia volta la vita, potremo riabbracciarci.

Adolfo Di Bella

Modena, maggio 2010

 


 

Il ricordo di Don Alessandro Pronzato1

Credo noi dobbiamo ringraziare il Signore per averci fatto dono di una creatura come questa e quindi, pur avvertendo la perdita, il vuoto che ha lasciato, desidero che prevalga il ringraziamento, lo stupore, perché ci sono ancora questi uomini in mezzo a noi, che ci hanno lasciato qualcosa che non scompare, una traccia che diventa incancellabile.

Non è che io abbia avuto contatti frequenti col Professor Di Bella. Mi è bastato però un incontro nel suo laboratorio. Ed è stato un incontro che mi ha segnato profondamente, mi ha colpito in profondità. Nella vita uno incontra tante persone, ma sono poche quelle che ti segnano dentro. Il Prof. Di Bella è una di quelle persone che, una volta incontrate, non riesci più a dimenticare.

D’altra parte io ho avuto la fortuna di essere amico di un suo discepolo, di un suo collaboratore fidato, il Dottor Minuscoli, il quale mi riferiva abitualmente e mi teneva informato su di lui e sulle sue vicende. Però credo sia giusto che io, nell’occasione della pubblicazione della sua biografia, dica quello che sento, quello che ho provato, quello che in lui mi ha sempre colpito. Ho incontrato un uomo, un uomo vero, un uomo autentico. Oserei dire un uomo unico. La sua ritrosia, il suo riserbo, non riuscivano a nasconderne la straordinaria umanità e credo che la cifra fondamentale per leggere l’esistenza del Professor Di Bella sia proprio quella dell’umanità.

Ricordo quando mi parlava di certi bambini colpiti dalla leucemia e andava a cercare negli scaffali della sua libreria quel determinato testo: invece del segnalibro c’era la fotografia del bambino, e lui guardava quel bambino con un intensa commozione. Non esisteva cartella clinica, non esisteva il caso: esisteva la persona. Questa era la sua umanità. Un uomo retto, con diverse caratteristiche: direi, prima di tutto, un uomo pulito. La sua chioma candida era il segno esterno di questa sua pulizia, pulizia interiore, pulizia della persona; una persona leale, onesta, sincera. Il Professor Di Bella era estraneo alla ambiguità, ai compromessi, alle furbizie, alle trame, ai giochi di potere.

E poi, un uomo che, direi, non ha mai tradito il fanciullo che era in lui. Io vedevo Luigi Di Bella come un uomo anziano, maturo; ma allo stesso tempo coglievo nella sua persona anche il bambino, l’ingenuità del bambino, la spontaneità del bambino. Direi quasi quell’aria un po’ birichina che lui aveva, e mi ha fatto piacere scoprire, nel ritratto biografico scritto dal figlio, che nella sua infanzia, a Pellegrino, serviva Messa e si divertiva a uscire fuori dai canoni: avendo in mano il campanello, si divertiva a suonarlo e fare sedere ed alzare la gente quando voleva lui, non quando era il momento. Quindi, il chierichetto, ma anche il chierichetto un po’ monello.

E il figlio Adolfo dice una cosa bellissima: “Il genio non è altro che la convivenza di un bambino e di un adulto dalla mente poderosa”. Quest’accoppiata, che sembra quasi una cosa contraddittoria: “in quel tabernacolo che è il cuore del bambino, c’è sempre un angelo”. Credo che non si potesse dire meglio.

Altro aspetto: un uomo che ha conosciuto la durezza della vita, scoperto la vita, sperimentato la vita sin dall’infanzia nel suo aspetto di durezza. Ha fatto anche la fame, ha subito privazioni, a livello familiare, e non sono mancate le prove fin dall’inizio della sua esistenza. Per cui direi: un genio, certo: ed uso questa parola tranquillamente. Un genio, ma che ha sempre pagato un prezzo elevatissimo allo sportello del sacrificio.

Oggi tante persone si illudono di raggiungere certi traguardi scansando lo sportello del sacrificio; invece non si può evitare il sacrificio, la rinuncia, la durezza della vita. Ho detto: fame, povertà, privazioni di ogni genere; studio, studio accanito, fin dagli anni delle medie, del liceo, dell’università.

Mi fa piacere leggere una sua espressione: lui diceva che “studiava, che bisogna studiare con amore, …e con diletto”, e poi aggiungeva “perfino da arrabbiato”. Quindi, dono – e lui certamente ha ricevuto un dono straordinario – ma anche impegno. E vorrei ricordare un episodio, una scena che non riesco a togliermi dalla mente: quando, ai primi anni del liceo, non avendo la possibilità di pagarsi i libri, se li faceva imprestare dai compagni, e la sera usciva fuori, perché in casa non bisognava consumare troppo petrolio: si metteva sotto il lampione della pubblica strada a leggere e studiare.

Allora si comprende come le sue grandi qualità siano sempre state accompagnate da un impegno, anche se questi suoi doni gli facevano bruciare le tappe. Quando doveva fare il liceo, si è determinata una difficoltà: non aveva studiato il latino. E allora lui a scuola, a ripetizione dal parroco del paese, in due mesi ha studiato il latino; in due mesi ha fatto quel curriculum per il quale, normalmente, si impiegano tre anni. E all’esame ha avuto come professore un latinista famoso, il quale, meravigliato dalla straordinaria capacità di questo allievo, alla fine si è complimentato con lui, gli ha stretto la mano, ma è rimasto esterrefatto quando Luigi, con molta semplicità, gli ha detto che il latino lo aveva studiato in due mesi. E allora questo professore si è preso la testa fra le mani, è rimasto per alcuni istanti sbalordito, quasi incredulo dalla rivelazione.

Cosa ci ha messo di lavoro, per arrivare a quel sussidio di cinquemila lire? Che gli permettevano di fare gli studi universitari e che lui era andato a ritirare a Roma, direttamente dal Capo del Governo di allora; e al ritorno si teneva le mani in tasca perché non gli rubassero quell’assegno di cinquemila lire. Era il frutto di uno studio accanito, anche di diciotto ore al giorno.

E allora non ci stupiamo che a diciannove anni lui pubblichi il suo primo lavoro scientifico, la sua firma accanto alla firma di quello che allora era il più prestigioso professore di fisiologia, Pietro Tullio. Ma tutto questo non gli ha impedito che durante la vita abbia sempre coltivato lo studio, l’aggiornamento, l’approfondimento.

Quando sono stato nel suo laboratorio ed ho visto il leggio che campeggiava in centro e gli ho chiesto “Professore, a che cosa serve quel leggio?”, lui ha risposto semplicemente “…eh, durante le ore della notte leggo e studio, e questi libri li leggo veramente: non sono qui per arredamento……stando in piedi non mi addormento”. Questo all’età di ottant’anni.

E allora mi viene in mente l’espressione di un grande romanziere del nostro tempo, Garcia Marquez, il quale diceva: “il genio è fatto per il tre per cento di ispirazione e per il novantasette per cento di traspirazione”. Nel Prof. Di Bella c’era indubbiamente tutto questo. C’era l’ispirazione, ma c’era la fatica, il lavoro, la traspirazione, il sudore. Un uomo che era anche poeta, oltre che scienziato.

Mi piace che il figlio Adolfo intitoli la biografia “Il Poeta della Scienza”. Lui ha realizzato una sintesi stupefacente tra bene, bello e buono. Noi siamo portati a separarle queste tre dimensioni, la verità, la bellezza, la bontà; il Prof. Di Bella ne ha creato la sintesi. Per cui ci ha invitati a scoprire la bellezza della bontà – cito ancora il figlio – e la bontà della bellezza.

Aggiungo: un uomo pensoso, capace di folgorazioni, di intuizioni fulminee, facendolo arrivare là dove una persona normale arriva magari dopo mesi; ma capace soprattutto di concentrazione. E se c’è un’immagine – tra le tante – per me incancellabile, è proprio questa: il suo studio, l’amico Dottor Minuscoli che gli sottoponeva il foglio illustrativo di un farmaco, sul quale gli chiedeva il suo parere, ed io vedevo lo scienziato estraniarsi completamente, diventare come assente, concentrarsi su quei dati che nella sua mente elaborava in una formula chimica, prima di dare una sentenza. Ma quello che mi impressionava era questa capacità di concentrazione profonda; aggiungerei anche, un uomo solitario.

Questo aspetto di solitudine lui lo ha realizzato sino dall’infanzia, dall’adolescenza, nella giovinezza; ed è una dimensione che ha realizzato anche in seguito. Un po’ si sentiva isolato dagli altri, ma tante volte era lui stesso che amava e cercava la solitudine. Vorrei fare un accostamento: come i profeti, come Geremia, che diceva “afferrato dalla Sua mano, sedevo solitario”.

Per realizzare grandi cose, nella vita, bisogna amare la solitudine. Non bisogna – diceva Geremia – sedersi nelle brigate dei buontemponi. Solitario: e quindi capace di battere, anzi, di inventare, nuove strade, in anticipo sugli altri. E chissà quando gli altri ci arriveranno! E soprattutto: un uomo contro tendenza, sfasato (in un certo senso) rispetto al proprio tempo, rispetto alla mentalità comune.

Il Prof. Di Bella è stato un resistente contro l’imbarbarimento progressivo. Ci sono due studiosi francesi che hanno scritto un libro veramente inquietante: “Piccoli passi verso la barbarie”, dove documentano che noi, al di là della parola “progresso”, della quale ci riempiamo la bocca, in realtà ci stiamo avvicinando a piccoli passi, senza accorgercene, verso la barbarie.

Luigi Di Bella è stato un resistente, contro l’appiattimento generale, contro il denaro corruttore. Resistente perché libero. Resistente perché non legato ad alcun carro, a nessuna consorteria.

E direi che è stato pure un trasgressivo, nel senso che si è costantemente ribellato alla legge ferrea del “fanno tutti così”. E lui, anche senza bisogno di dichiararlo (ma lo faceva capire)…” e io non ci sto”! Per lui trasgressività significava agire sfasato rispetto alla rotta seguita dai più, opporsi con la propria testimonianza, pagata a caro prezzo, al malcostume dilagante, non lasciarsi arruolare sotto la bandiera della vigliaccheria mascherata da astuzia.

E mi piace anche ricordare questo aspetto della sua personalità: un uomo che dava peso alle parole. Io, che di mestiere faccio il giornalista, lo scrittore, e quindi maneggio le parole con una certa disinvoltura, di fronte a lui mi sentivo intimidito, perché mi accorgevo che avevo davanti un uomo che le parole le pesava, non parlava a vanvera. Tutto quello che diceva era qualcosa di pensato, qualcosa di pesato. E allora non mi stupisco che sia uscito in questa frase che è tutta un programma: “bisogna dare alle parole il significato che hanno”.

Io credo che oggi uno dei peccati – oserei dire – imperdonabili della nostra società, sia proprio quello dello scarso rispetto delle parole. Le parole che vengono prostituite, alle quali si fa dire ciò che si vuole, le parole che non vogliono dire più niente, che perdono il loro significato.

Questo, consentitemi, è anche un aspetto profondamente biblico. Ma non posso trascurare di mettere in evidenza anche una malattia che aveva il Prof. Di Bella, una malattia incurabile: era allergico al denaro, al profumo, per molti irresistibile, del denaro. Luigi Di Bella non era eretico per le sue teorie, per il suo famoso protocollo; era eretico perché ha osato dire ‘a me il denaro non interessa’, ‘io dai miei malati non ho preso mai una lira’. Questa la sua eresia. Lo diceva, l’ho sentito dire tante volte anche dal Dott. Minuscoli.

Normalmente quando uno dice che il denaro non gli interessa, in realtà ne è interessato molto. Al Prof. Di Bella no. Al Prof. Di Bella interessava il bene degli altri, interessava curare, interessava dare speranza, rimettere in piedi delle persone. Ne sono profondamente convinto: un uomo che era sulla via giusta perché ha percorso una vera Via Crucis fatta di colpi bassi, di umiliazioni, di incomprensioni, di cattiverie assortite; perché è stato bersagliato da invidie feroci, da attacchi meschini e volgari, e proprio per questo, quando questo vedevo e sentivo, certo mi dispiacevo molto, ma mi sentivo consolato pensando: “E’ sulla strada giusta”.

Certo qualcuno gli avrà chiesto – e gliel’ho chiesto anch’io – “ma chi glielo fa fare?”. Non mi ha mai risposto. Ho un amico psichiatra, che ha dato una risposta che credo il Prof. Di Bella avrebbe condiviso pienamente: “si dà il caso che quel tale che me lo fa fare sia io stesso”. Uno comincia ad essere coerente ed autentico quando il “chi me lo fa fare” è lui stesso, è la propria coscienza, il proprio senso di responsabilità.

Ci sarebbero tante altre cose da dire, ma parlare del Professore significa sfiorare una miniera dalla quale si potrebbero trarre infiniti tesori. Come sacerdote, desidero esprimere la mia consapevolezza, quella consapevolezza ricavata dall’incontro con lui ed anche dal racconto che di lui mi faceva l’amico. Era un uomo che ti faceva sentire il passaggio di Dio, e non soltanto quando parlava del cervello, dei meccanismi misteriosi del cervello: anche la sua persona ti dava questo senso di Dio. Una scrittrice del nostro tempo ha detto che quando noi incontriamo uomini come lui, non ci accorgiamo che ci è passato accanto Iddio, perché ci è passato accanto l’uomo: ma Dio e quell’uomo sono una cosa sola. Ecco perché sento il bisogno di ringraziare il Signore per avercelo dato e per ringraziare lui per essere stato quello che è stato ed avere fatto quello che ha fatto.

Don Alessandro Pronzato23

 


1. Don Alessandro Pronzato, 1932+2018, scrittore e saggista.

2. È morto don Alessandro Pronzato, prete scrittore apprezzato dai papi.

3. Libri della collana Alessandro Pronzato, dell’editore Gribaudi.

 

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